L’esame di Stato del 2022 dovrebbe essere, secondo il ministro Bianchi, l’anno di transizione alla “normalità”, una via di mezzo fra la normativa di riferimento (D.lgs n. 62/2017) e la normativa di emergenza (Dl n. 22/2020). Viene però da chiedersi quale sia la “normalità” per un esame che ha praticamente sempre subito modifiche, deroghe, riforme. Ora si cambia un requisito, ora il punteggio, ora la prova. La maturità non ha più avuto un anno di pace. Covid o non Covid. Si arriva a giugno aspettando l’ultima circolare di chiarimenti.
Per sua natura, l’esame di Stato necessita di un profilo di stabilità e certezza, nello svolgimento e nei requisiti di ammissione. Fin dal terzo anno studenti e docenti devono poter lavorare per quell’obiettivo. Invece i continui cambiamenti hanno provocato un disorientamento sempre più marcato. L’esame conclusivo ha perso progressivamente di importanza, passando dalla “sacralità” del vecchio modello alla “familiarità” di un colloquio prevedibilissimo senza più neppure i commissari esterni.
Fedeli, Bussetti, Fioramonti, Azzolina, Bianchi e il Covid
Cinque ministri e cinque anni di cambiamenti. Correva l’anno 2017 quando l’allora ministra Fedeli portò a termine l’ultima significativa riforma della maturità, in coerenza con l’impianto della legge 107/2015 (Buona Scuola). Le novità erano rilevanti. Via la terza prova, due scritti di carattere nazionale, la valorizzazione del credito scolastico nel punteggio finale e dei percorsi di Alternanza scuola-lavoro, a cui dedicare un momento specifico del colloquio, comprensivo anche di Cittadinanza e Costituzione.
Le prove Invalsi dell’ultimo anno diventarono un requisito per l’ammissione, secondo quanto disposto dal D.lgs n. 62, diventato operativo nel 2018/2019. Un valido lavoro da parte di esperti incaricati dal ministero fu fatto per elaborare i quadri di riferimento per la redazione e lo svolgimento delle prove scritte. Un rinnovamento insomma che avrebbe dovuto portare stabilità.
Invece, fin dal primo anno di attuazione della riforma, le grane non sono mancate. Il successore della Fedeli, il ministro Bussetti, è passato alla storia dell’esame per il discusso sorteggio delle buste con cui iniziare il colloquio e proporre al candidato i materiali per la discussione. Il successore di Bussetti, il ministro Fioramonti, è transitato per il ministero solo pochi mesi, quanto è bastato però per rimettere le mani sulla maturità. Prima di tutto abolendo il sorteggio delle tre buste per la prova orale, ma anche con un’intromissione nella prima prova, che i dirigenti del ministero hanno cercato di contenere al minimo, senza intaccare il lavoro fatto negli anni precedenti. “L’onorevole Ministro ha inteso prevedere che almeno una delle tracce della tipologia B (analisi e produzione di un testo argomentativo) debba riguardare l’ambito storico”, si scrive nella circolare del 25 nov. 2019.
Sembrava che nel 2020 l’esame dovesse finalmente entrare a regime, con la piena applicazione della normativa, dalle prove scritte a carattere nazionale ai requisiti di ammissione, compresi Invalsi e Pcto secondo il monte ore previsto dall’indirizzo di studio. Ma la pandemia ha fatto saltare del tutto il primo esame “normale”. Dopo lungo tira e molla, a metà di maggio la ministra Azzolina firmava finalmente l’ordinanza sugli esami di giugno, col maxi-orale in presenza e i commissari interni.
Arriviamo al 2021. Il ministro Bianchi, da poco in carica e con la pandemia ancora in corso, per il secondo anno consecutivo ha riproposto inevitabilmente la maturità di emergenza. Solo colloquio e solo commissari interni. Al posto della prima prova l’analisi orale di un testo scelto dalla commissione, al posto della seconda prova un elaborato assegnato dai docenti entro il 30 aprile, su un argomento delle materie d’indirizzo. Nel colloquio, anche Cittadinanza e Costituzione e i Pcto. Rispetto all’anno precedente, l’ammissione viene decisa dal consiglio di classe e non è garantita a tutti.
2022, l’anno di transizione alla “normalità”
Il maxi-orale ha costituito una scelta giustificabile nei due anni di pandemia, che hanno travolto il servizio di istruzione. Adesso il ministro Bianchi ha preferito la via del “ritorno graduale alla normalità”, con una soluzione di transizione che prevede la prima prova nazionale, la seconda prova scelta dalla sottocommissione, un ricalcolo del punteggio e solo commissari interni (Om n. 65, 14 mar. 2022).
Gli studenti hanno manifestato la loro netta contrarietà alle prove scritte, perché nel triennio, dicono, hanno fatto un anno di Dad e un anno di scuola aperta sì, ma impegnata a tamponare le emergenze del giorno per giorno, ora per ora, con didattica mista e soluzioni creative, senza che fosse possibile garantire la qualità del servizio. Non si può negare che i loro timori sulla formazione raggiunta siano fondati, tanto che le Commissioni di Camera e Senato hanno dato nei rispettivi pareri delle precise indicazioni affinché si tenga conto del fatto che, per la prima prova, la situazione pandemica non ha reso possibile un percorso formativo uniforme a livello nazionale, e si forniscano, per la seconda, istruzioni chiare su obiettivi, struttura e valutazione.
Alla fine, l’esame proposto da Bianchi non dovrebbe spaventare. La prova di italiano andrà come è sempre andata negli ultimi anni (ormai fare un tema o un post su Facebook è la stessa cosa), e quella di indirizzo sarà aderente ai programmi effettivamente svolti, elaborata collegialmente dai docenti titolari della disciplina d’esame, sulla base delle informazioni contenute nei documenti dei consigli di classe, e varrà 10 punti. Forse non sarà “una semplice riproposizione di una prova analoga ad altre effettuate nel corso dell’anno”, come aveva osservato criticamente il Cspi, ma poco ci manca. I temuti commissari esterni non ci sono e le promozioni saranno altissime secondo il trend consolidato.
Le prospettive per il futuro
Più che all’anno in corso, necessariamente di transizione, bisogna piuttosto guardare al futuro. Appena sarà conclusa la sessione 2021/22 sarebbe opportuna una riflessione immediata per mettere in campo un’idea di esame per il 2022/23, con l’obiettivo di dire fin dall’inizio: “cari studenti, egregi professori, così sarà l’esame di Stato, studiate e lavorate per questo”. Il prossimo anno scolastico si aprirà, infatti, con questo governo ancora in carica (salvo turbolenze fatali), ma comunque in scadenza. Il ritorno alla “normalità” dovrebbe consistere nel dare all’esame di Stato un significato e una stabilità, che a oggi non può che essere fondata sull’impianto del D.lgs 62/2017. Si parla già tuttavia di rivedere i Pcto, di verificare i quadri di riferimento per gli scritti, e di altre fumose “riforme”. Insomma quasi certamente anche per l’esame di Stato 2023 la “normalità” sarà il cambiamento perenne.
A quel punto si potrebbe prendere atto che l’esame di Stato è diventato pleonastico e fare scelte radicali. Basta guardare la percentuale dei promossi degli ultimi quattro anni: 99,6% nel 2018; 99,7% nel 2019; 99,5% nel 2020; 99,8% nel 2021 (bocciato solo lo 0,2% degli ammessi). Ma questo discorso riguarderà la nuova legislatura. L’essenziale sarebbe però che qualsiasi riforma non dipenda dal sentire del ministro di turno, ma da una visione ampia di scuola, da studiare, elaborare e proporre da parte dei partiti o delle coalizioni fin dai prossimi mesi.
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