Il nuovo esame di Stato si avvierà il 19 giugno con la prima prova, a cui seguirà la seconda il giorno dopo ed infine, in date differenti a seconda del calendario predisposto dalle singole commissioni, il colloquio. Le variazioni relative alla nuova forma della “maturità” sono ormai note e sono state oggetto di ampia analisi e commento sia sulla stampa che nei vari momenti informativi e formativi, siano essi stati formali (le ordinanze, i seminari di aggiornamento organizzati dai vari Usr, i consigli di classe che hanno ratificato per il 15 maggio il documento del consiglio di classe, i collegi docenti e quant’altro) o informali (i dialoghi intercorsi fra colleghi ). L’ultimo dato relativo all’esame, la composizione delle commissioni con le nomine dei commissari esterni, è disponibile on line per tutti da oggi, 3 giugno.
Fra le tante ordinanze, simulazioni e seminari di aggiornamento vorrei segnalare la nota dell’8 maggio che precisa che per i candidati Dsa non si avrà l’estrazione della busta contenente i materiali di avvio del colloquio, ma che invece al candidato/a verrà proposto un materiale che sia coerente con il Pdp (piano didattico personalizzato). Ora, dal momento che l’ordinanza relativa all’esame era uscita addirittura con anticipo rispetto agli anni precedenti e che conteneva le “consuete” indicazioni riguardanti gli studenti Dsa, come mai questa importante annotazione relativa alle “non-buste” non era presente nell’ordinanza, ma è comparsa solo a maggio nella sopra citata nota?
Elementare, Watson! Al Miur ci hanno pensato dopo! Oppure ci avevano pensato, ma speravano che nessuno notasse la totale incongruenza fra la personalizzazione del percorso formativo dello studente Dsa volta a metterlo/a in grado di dimostrare quanto sa fare al pari degli altri, anche se è dislessico, disgrafico, disprassico o altro, e “l’imparzialità ed equità” della scelta delle buste.
Qualcuno si deve essere accorto, e quindi ecco la rapidissima nota, che tolto un problema, ne ha subito generato un altro: tutti sanno che il candidato-no-busta è uno studente Dsa, alla faccia dell’inclusione e della privacy. Ma poiché la presenza di Dsa è un segreto di Pulcinella, dopo cinque anni di misure dispensative e compensative (computer utilizzabili nelle prove, programmazione delle verifiche, tempi extra delle verifiche e via dicendo), importa forse a qualcuno se le buste non ci saranno per gli studenti certificati Dsa mente per tutti gli altri sì?
Che ci sarà mai di tanto difficile in queste buste, d’altronde? Quali materiali originali e misteriosi verranno inseriti dai docenti nella sessione dedicata alla preparazione dei materiali, presumibilmente sulla base di un’equa distribuzione dei lavori – mettiamo 25 candidati in una classe per 6 commissari, quindi 27 materiali divisi per 6, 4 per uno più 3 assegnati a sorte, oppure a chi di materie ne fa di più? Sarà il presidente, docente mettiamo di matematica, a vigilare sulla fattibilità dei percorsi, andando a escludere materiali “inadeguati” scelti dal commissario di filosofia? Ohibò, la scelta, dimenticavo, è della commissione, che opererà all’unisono pur non avendo mai lavorato assieme e partendo da un documento che illustra, almeno per gli esterni, percorsi mai visti prima. Comunque poi lo studente “si metterà alla prova”, e che ci sarà mai di difficile nell’inventarsi un percorso multidisciplinare sulla base di materiale mai visto prima?
Il tutto finirà, il più delle volte, in una bagattella. D’altronde il ministro Bussetti non ha recentemente rassicurato che le prove scritte sono già pronte e che sono facili ed accessibili? Non c’è nemmeno la soglia della sufficienza stabilita dal Miur per il colloquio, quindi tutto sarà facile, maturandi. Rilassatevi e preparatevi a suonare la bagattella.
Non è la predisposizione tardiva, in corso d’anno, che allarma di questa prova Non allarma nemmeno che sia stata cambiata in modo significativo, perché la riduzione dell’insegnamento a un teaching to the test è giustamente penalizzata dalle continue modifiche dell’esame di Stato (otto, più o meno significative, dal 1971). Allarma invece l’astrattezza assoluta della revisione operata per il colloquio, che ha buttato via con l’acqua delle tesine il bambino bellissimo della multidisciplinarità, della creatività, della personalizzazione dei percorsi, del pensiero critico, e ha messo in scena la bagattella.
A questa astrattezza non si può opporre a mio parere la “superiorità” di un personale metodo didattico, soprattutto se non se ne forniscono le coordinate minime perché esso possa essere condivisibile dai colleghi, e nemmeno l’opzione di “salvare il salvabile” coi propri studenti. Il primo fattore di cambiamento, in questo carrozzone auto-perpetuante che è la scuola italiana, può essere solo un Pdp universalizzato, vale a dire una personalizzazione dei percorsi didattici ad opera di un gruppo di professionisti, i docenti, guidati non da un burocrate ma da un dirigente scolastico restituito al suo ruolo reale. Oltre, ovviamente, la totale eliminazione dell’esame di Stato, sostituito dalla valutazione del consiglio di classe, e non solo per il triennio finale, ma per tutto il quinquennio o eventuale quadriennale. Questa è l’unica e sola riforma necessaria. E coi soldi risparmiati per il decadere dell’esame di Stato, e ovviamente del valore legale del titolo, qualcosa di utile si potrà fare, anche per lo sport, se così piacerà al ministro Bussetti. Saranno comunque soldi spesi meglio.