“O qui dira les torts de la Rime?/ Quel enfant sourd ou quel nègre fou/ nous a forgé ce bijou d’un sou/ qui sonne creux et faux sous la lime?”. Ce l’aveva con la rima Paul Verlaine, il poeta maledetto. E si chiedeva quale pazzo l’avesse inventato, questo gioiellino che suona falso sotto la lima. Al posto di “rima” oggi metterei volentieri la parola “tesina”. E mi chiederei, con la stessa angoscia rabbiosa, chi è stato il pazzo che ha messo in circolazione questo ritrovato da due soldi che suona falso.
Mi si dirà: perché prendersela con la tesina? È stata abolita e sostituita dall’elaborato, sia agli esami di terza media che a quello di maturità (mi perdonerete se per comodità utilizzo le vecchie definizioni). Ma il fatto è che la tesina, con il suo meccanismo perverso, è sempre là, che cova sotto le ceneri; è in agguato, insidiosa, tentatrice, in fin dei conti comoda per tutti.
Scriveva Tacito nell’Agricola una grande verità, e cioè che “naturā infirmitatis humanae tardiora sunt remedia quam mala; et ut corpora nostra lente augescunt, cito extinguuntur, sic ingenia studiaque oppresseris facilius quam revocaveris”. L’uomo è un essere “infermo” e faticoso da educare: è facile portarlo ad infimi livelli; più difficile è ricostruirlo dopo averlo distrutto.
Abbiamo creato dei mostri! Quando uno studente dell’ultimo anno (non importa se delle medie inferiori o superiori) ti chiede una consulenza e per prima cosa ti spiattella davanti i “collegamenti” che intende fare, ti viene subito la nausea. Ed è veramente difficile togliergliela dalla testa questa specie di ossessione dei “collegamenti”, perché chi è passato per quella prova prima di lui (un fratello più grande, un amico…) ha “collegato” e i collegamenti li ha trovati sul web, comodi comodi. E anche papà e mamma (quando ci sono e si interessano) hanno nella zucca i “collegamenti”, sono pronti ad aiutare il pargolo a trovare un tema non tanto che gli interessi davvero, ma che si “colleghi”. È il giochetto che si è fatto per anni (quanti? La memoria si perde…). Un giochetto autoreferenziale, tutto scolastico, tutto fatto per passare presto e nel modo più indolore possibile la prova d’esame.
La tesina conviene agli studenti: metto dentro ogni materia così i professori sono contenti e non mi chiedono altro. Soprattutto ci metto le materie che temo di più, così dirò solo quello che mi sono già preparato. Tanto i prof sono buoni e mi perdonano anche i collegamenti più impossibili. Il bello è che anche i professori si sono abituati, e quei collegamenti con le loro materie li pretendono. E poi è bene metterci dentro un po’ di educazione civica, un po’ di Costituzione e di Agenda 2030, e se sono alle superiori ci butto dentro anche il Pcto…
La tesina conviene perché è generica. Sono anni che ci siamo nutriti di temi come “La luna”, “Le stagioni”, “La ricerca della felicità”, “L’educazione”, “La follia”, “I colori”, “La Shoah”, “Gli anni ruggenti”… La genericità è un must per chi deve genericamente parlare di tutto un po’. Non ti chiede di entrare dentro una questione, di scavare, di confrontarti seriamente con qualcosa, o anche solo di presentare bene quello che veramente ti interessa. No. Dovrai toccare a volo d’uccello tanti piccoli argomenti e dimostrare di essere bravo, o furbo, a farlo.
Ricordo un colloquio d’esame. Una ragazza mi presenta una tesina intitolata “La follia”. La grafica di copertina era molto gradevole. Al centro c’era una specie di pazzo, un serial killer, forse, con i denti da vampiro. Poi c’erano intorno dichiarati, a mappa, i famosi collegamenti, tra i quali figurava Pirandello (che non mi risulta abbia mai scritto di folli serial killer con denti da vampiro). Chiedo alla giovinetta il perché della scelta. Chiedo se ha conosciuto qualcuno che viveva la condizione della follia. La risposta è stata: no. Allora le faccio una domanda un po’ strana, vista la situazione: “Hai il ragazzo?”. Ce l’aveva. Seconda domanda: “Sei gelosa?”. Era gelosa. Terza domanda: “Non credi che la gelosia sia un po’ una forma di follia?”. Sì, lo pensava. Bene, è proprio questa, le ho detto, la follia di cui parla soprattutto Pirandello. Ma sulla tesina c’era il vampiro…
Ora dal centro arriva alla periferia il contrordine: si passa all’elaborato! Evviva a Cristo, direbbe Checco Zalone. E l’elaborato deve partire da qualcosa che interessa il ragazzo (almeno alle medie) e non deve per forza collegare tutte le materie (è stato scritto nelle istruzioni per l’uso, quindi vuol dire che il centro conosce il problema).
Insomma, l’elaborato dovrebbe essere il momento della libertà, il momento in cui parlare di qualcosa che ami. Non dovrai dimostrare quanti collegamenti saprai fare. Casomai dovrai far capire che quello che ami è stato valorizzato, sostenuto, conosciuto meglio grazie all’incontro con le discipline scolastiche, anche solo con una o due di esse. L’attenzione, mi sembra e spero, si sposta non sulla costruzione dell’elaborato, ma sul suo contenuto. E alle superiori, in un liceo classico, per esempio, si parte da un testo proposto, che va letto con attenzione, fatto proprio, meditato e preso come termine di confronto per un’elaborazione molto personale.
È un lavoro diverso da quello della tesina, forse più impegnativo, di certo meno generico, più profondo, più concentrato su un argomento, che cercherai di illustrare bene nel tempo che ti viene dato a disposizione.
Ma tu, ragazzo che vieni a parlarmi (delle medie o delle superiori, è lo stesso), non hai il piacere di parlarmi di quell’argomento, no… Non mi dichiari subito il tuo interesse. A te interessano i collegamenti che sei riuscito a trovare, per accontentare un po’ tutti, con la paura di fare un torto a qualcuno. E allora ecco le armi batteriologiche e la peste di Manzoni; il calcio e i muscoli; l’agricoltura e Verga… E allora pensi che il meccanismo della vecchia tesina è ancora lì, in agguato, sotto le ceneri. E poi mestamente concludi che sì, è proprio vero: grazie ad anni e anni di tesine richieste, approvate o subìte abbiamo creato dei mostri.
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