Un secondo anno scolastico segnato dalla pandemia da Covid si sta chiudendo e come di regola i riflettori vengono puntati sulle fasi finali, sui “riti” che caratterizzano da quasi un secolo a questa parte il termine dell’annuale fatica degli studenti, in particolare gli esami collocati oggi al termine dei due cicli in cui si articola il sistema di istruzione italiano.
Di certo dei due è l’esame di Stato del secondo ciclo a configurarsi più carico di preoccupazioni e ansie e a fissarsi nella storia personale di ogni studente in modo significativo. Ma di questo traguardo e delle prospettive per il suo futuro, già si è parlato su queste colonne.
Tento allora di portare qualche riflessione anche sul “fratello minore” che chiude il primo ciclo di istruzione.
I due traguardi condividono il ruolo di “segnavia” del percorso di studi dei giovani studenti: punti in cui evidenti si manifestano delle biforcazioni, dove il tranquillo (quanto meno rispetto alla direzione da prendere) procedere nel percorso di apprendimento subisce un benefico scossone ponendo gli alunni di fronte a significative scelte. In realtà, in entrambi i livelli scolastici la risposta alla domanda “cosa farò domani?” è preparata per tempo e ciascuno è accompagnato a riflettere su aspirazioni, carattere, competenze e stili di apprendimento per giungere ad una scelta meditata. Resta pur sempre un passaggio importante, tanto che la Costituzione stessa, all’articolo 33, ne ha sancito la necessità di essere marcato da un “esame di stato”. Qui sta l’altro aspetto che accomuna i due esami.
Aspetto non di poco conto, evidentemente, perché pone un vincolo a tutte quelle proposte di pensionamento dei due appuntamenti. Peraltro, con ragioni condivisibili come la perdita della loro originaria natura selettiva, la quasi coincidenza della Commissione valutante con il Consiglio di classe (completa per il primo ciclo, evoluta in tal senso sotto la spinta della pandemia, nel secondo ciclo), lo scarso peso che le risultanze di questo esame, quello del secondo ciclo, ha sui percorsi successivi (vedi i test di ammissione ai percorsi universitari) … infine, per l’immancabile possibilità di risparmio per le finanze dello Stato. Ma anche questo riguarda solo il secondo ciclo.
Allora che possibilità cogliere in questo esame e, meglio, che possibilità offrire alla schiera di preadolescenti che si stanno accingendo ad affrontare il loro primo esame? E quindi che tipo di attenzione e lavoro chiede a me, dirigente, e ai docenti che con me condivideranno le fatiche dei prossimi giorni?
Attenzione e lavoro che evidentemente sono iniziati negli scorsi mesi, dopo l’uscita dell’attesissima ordinanza che avrebbe regolamentato gli esami del primo ciclo. In realtà il lavoro, o quanto meno la riflessione, è cominciata da qualche anno e ha avuto una accelerazione nel maggio 2020 con la drastica trasformazione dell’esame in un ibrido con lo scrutinio finale della terza classe (appunto per ottemperare al citato art. 33 della Costituzione) e soprattutto con la sua riduzione alla sola presentazione di un elaborato.
L’assetto attuale dell’esame costituito dalla sola “prova orale”, dove la parte preponderante è rappresentata dal prodotto che gli alunni (nel frattempo avranno assunto la denominazione di “candidati”) hanno provveduto ad elaborare e presenteranno, non lascia dubbi sul fatto che non potrà avere un carattere prettamente contenutistico, pretesa poco significativa, prima che irrealizzabile. I candidati, infatti, sono stati alunni per tre anni e della loro avventura di apprendimento i docenti, il consiglio di classe, che si trasforma (solo la forma cambia, la sostanza rimane tale) in sottocommissione, sono stati testimoni, perciò è il momento per far emergere altro: in continuità con la storia di un triennio, possa avere evidenza e protagonismo ciò che è stato coltivato.
Allora che possibilità cogliere e nel contempo cosa offrire? Tra le tante ne evidenzio due.
Innanzitutto cogliere, e offrire di rimando all’alunno, la sua persona nella sua interezza e unicità, rimettendo insieme i pezzi in cui involontariamente lo si è frammentato (lei o lui, in italiano, in matematica, in inglese ecc. …). Come si è tentato di fare, in questo anno, affrontando la sfida dell’introduzione dell’insegnamento dell’Educazione Civica.
In secondo luogo, la libertà di muoversi e far muovere gli alunni nel riconoscere il percorso compiuto, gli apprendimenti fatti propri, i progressi e gli interessi per tentarne un breve racconto, l’elaborato appunto. Insomma, la possibilità di avere davanti un alunno che da semplicemente ripetente viene invitato a essere, nella sua preadolescenza, pensante, condotto ad uscire pian piano dalla bolla prestazionale in cui spesso lo abbiamo rinchiuso per cominciare ad annodare gli apprendimenti con la realtà, a ricollocarli dove realmente stanno, premessa per assumere a pieno titolo un ruolo nel contesto sociale.
L’esame diviene l’occasione per cogliere ancora di più la consistenza umana di ciascun alunno, per rintracciare la persona che abbiamo contribuito a far crescere e per riconsegnarla al legittimo proprietario, consapevoli che si tratta di una tappa, che ancora molta strada, quei ragazzi e ragazze, avranno davanti e che altri, se attenti, potranno coglierne gli esiti compiuti.
Infine, uno sguardo attento sull’alunno come persona non può non muovere ad una riflessione di ritorno della scuola e di chi la fa.
La consistenza umana, l’unità della persona di fronte a tutta la sterminata varietà della realtà non la si insegna, si pone, se ne fa esperienza, deve essere rintracciabile. Costituisce carattere fondamentale di chi fa scuola, necessario per mobilitare l’umile attenzione tesa a penetrarne tutti gli aspetti di questa realtà e per apprendere.
Una bella sfida, a prescindere dagli esami.
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