Anche l’esame finale del primo ciclo (quello di “terza media”) è stato recentemente riformato e con lo stesso decreto (il 62/2017) che ha cambiato l’esame di maturità. I due esami di Stato sono ora più omogenei, sia nella valutazione che nelle prove. Ma le novità relative all’esame del terzo anno della secondaria di primo grado non hanno riscosso lo stesso interesse dell’esame “maggiore”.
Tra le principali novità: viene dato più peso (50%) al percorso di apprendimento nella valutazione finale, prove scritte più orientate alle competenze, un colloquio, invece, sostanzialmente simile a quello precedente. O meglio a quello che avrebbe dovuto essere il colloquio secondo il Dm del 1981, che rendeva coerente l’esame di allora con i nuovi programmi della scuola media del 1979. In pratica, come spesso succede nella scuola, le novità vengono digerite e inserite nella prassi senza nulla mutare. Anzi qui la novità ci fu, ma non venne dal decreto, fu probabilmente suggerita dai libri di testo e presto divenne abitudine diffusa: la famigerata tesina.
Di questa tesina non c’è traccia nel decreto del 1981:
“La commissione imposterà il colloquio in modo da consentire una valutazione comprensiva del livello raggiunto dall’allievo nelle varie discipline, evitando peraltro che esso si risolva in un repertorio di domande e risposte su ciascuna disciplina, prive del necessario organico collegamento, così come impedirà che esso scada ad inconsistente esercizio verboso, da cui esulino i contenuti culturali cui è tenuta ad informarsi l’azione della scuola (…). In altri termini, il colloquio, dovrà svolgersi con la maggior possibile coerenza nella trattazione dei vari argomenti, escludendo però ogni artificiosa connessione. Sarà proprio dal modo e dalla misura con cui l’alunno saprà inserirsi in questo armonico dispiegarsi di spunti e di sollecitazioni che scaturirà il giudizio globale sul colloquio stesso”.
Ciononostante, per anni ci siamo sentiti riproporre: Il Giappone – La seconda guerra mondiale – La bomba atomica – L’energia nucleare – Guernica; oppure: Ungaretti – La prima guerra mondiale – Gli Stati Uniti – La catena di montaggio …e via di questo passo, ricopiando dai libri di terza sempre gli stessi schemi. A dare linfa vitale alla tesina contribuiscono pure i siti dedicati agli studenti e compulsati avidamente dai genitori, che credono di aiutare i figli in prossimità degli esami scaricando da internet tesine già pronte all’uso. Basta inserire sul motore di ricerca esame terza media ed eccole lì! Magari un po’ più aggiornate, con qualche inserimento di argomento di attualità che va per la maggiore in quel momento. Ma il Giappone e la bomba atomica restano di gran lunga al top della classifica delle proposte. Assistendo agli esami di terza media è spesso quasi impossibile capire in che anno siamo: uguali a se stessi dal 1981 ad oggi. Eh sì, perché anche quest’anno le famigerate tesine hanno fatto la loro ricomparsa in molte scuole…
La tesina intesa come schema di collegamenti forzati tra le discipline è la negazione del percorso di apprendimento realizzato, soffoca la creatività, rende impossibile far emergere le competenze dello studente chiudendolo in una gabbia di “collegamenti” che niente hanno di culturale. Questo ovviamente non vuol dire che lo studente, invece, non possa portare all’esame un proprio elaborato su di un argomento che sia realmente frutto degli interessi e delle competenze maturate nel corso degli anni. Ciò che conta è far si che l’esame diventi un’occasione per valorizzare davvero il meglio che lo studente ha realizzato.
Ancora nel 1981, nel succitato Dm, si suggeriva di prendere spunto da un “documento” (una carta geografica, l’elaborato di educazione tecnica, es. il circuito elettrico, un quadro etc.). Quindi, i materiali per il colloquio del rinnovato esame di maturità non sono poi una così grande novità. Avrebbero già dovuto essere prassi didattico-metodologica da tempo.
La realtà è che molti docenti non leggono le indicazioni normative, considerandole burocrazia, non ne conoscono la ratio e l’evoluzione pedagogico-didattica che bene o male hanno tradotto in una norma. Ma la cosa peggiore è che si adeguano pedissequamente ai libri di testo, che diventano la direttiva cogente alla quale si aderisce senza alcuna riflessione critica. Ci sono anche tanti insegnanti aperti all’innovazione, che accettano le nuove indicazioni normative, e che contribuiscono ad arricchire criticamente le buone pratiche da condividere. Ma quanta fatica ci vuole a far comprendere, innanzitutto ai genitori, che la scuola non può rimanere la stessa che loro hanno conosciuto da ragazzi.
Le prove scritte, più individuabili rispetto al colloquio orale, hanno invece dovuto rinnovarsi. Innanzitutto si svolgono in tre giorni, invece dei cinque di prima (le prove Invalsi ora si fanno ad aprile) e per italiano e lingue straniere, ma in parte anche per matematica, le prove sono molto cambiate. Le prove finali per inglese e una seconda lingua si svolgono in due sezioni distinte (i livelli richiesti sono diversi: A2 e A1), ma in tre ore e nello stesso giorno e il voto è unico.
Questo richiede sicuramente un lavoro preparatorio condiviso tra i docenti di lingua che non possono semplicemente appiccicare insieme due prove diverse come quelle di prima. In certe scuole si danno ad esempio tempi diversi (più tempo ad inglese e meno alla seconda lingua) valutando con griglie che marcano profondamente la differenza di livello tra le due lingue. L’idea che la prova è unica, anche se articolata in due sezioni, fa molta fatica a passare.
Le tipologie della prova di italiano sono ora più aderenti alle competenze previste dal Profilo dello studente in uscita dal primo ciclo: comprendere e saper riassumere, descrivere, argomentare, dando anche spazio alla creatività con la narrazione. Quindi tre tipologie – riassunto o descrizione, testo argomentativo, testo narrativo – che potrebbero anche essere comprese in un’unica prova scritta. Ma quest’ultima possibilità è molto lontana dalla mentalità corrente tra i docenti di lettere. Sono prove che non possono essere improvvisate o frutto di esercizi riservati all’ultimo anno di corso, dovrebbero essere praticate a livelli diversi di difficoltà sin dall’inizio del percorso del primo ciclo. Quanti docenti della scuola primaria hanno consapevolezza di come le prove sono cambiate? Prendiamo il riassunto: quando arrivano in prima media, proviamo a chiedere agli alunni cosa ne sanno. Molti rispondono ancora così: la maestra diceva di leggere molte volte il brano e poi scrivere quello che mi ricordo… (sigh…). Per non parlare della descrizione, questa sconosciuta. Anche il testo argomentativo soffre le sue pene, confuso spesso con una qualsiasi relazione su di un argomento di studio. Nonostante il documento Serianni e gli esempi del Miur, ancora una volta i docenti si rifanno ai consigli dei libri di testo che hanno per lo più riciclato i vecchi vademecum, togliendo solo le parti proprio incompatibili con il nuovo esame.
Come per le lingue straniere, anche per italiano si dovrebbe lavorare in una logica di curricolo verticale e di condivisione di pratiche, di saperi essenziali, di valutazione. E purtroppo se non si lavora tutti insieme nella definizione di un percorso formativo di qualità a livello di istituto, anche chi innova è costretto ad allinearsi al ribasso per evitare che i propri alunni si trovino di fronte a tracce non conformi alle loro aspettative.
Infine la prova di matematica (che dovrebbe contenere anche quesiti di scienze, fisica o tecnologia): secondo un rapporto dell’Usr Lombardia, relativo all’a.s. 2017/18, sembrerebbe quella che presenta maggiori resistenze ad adeguarsi alle nuove indicazioni ed è anche la prova dove i voti risultano più polarizzati: o bassi o alti. Sempre nello stesso rapporto si legge che le prove di italiano si siano più facilmente adeguate al nuovo esame. Quello che non dice è quanto la forma (le tracce) sia aderente al contenuto.
In conclusione: l’esame è solo un momento del percorso e acquista senso e valore se diventa occasione per valorizzare e mettere in gioco l’insieme delle competenze acquisite da parte degli studenti sia al termine del primo che del secondo ciclo. Ma i docenti devono necessariamente ripensare il loro ruolo, sia dialogando e confrontandosi con i colleghi “in verticale” che per aree disciplinari. Quanto sarebbe interessante e proficuo mettere insieme i docenti degli anni terminali (terza media e quinta superiore) per confrontarsi sulle prove, coinvolgendo anche i colleghi della primaria. La posizione “tanto poi in classe mia faccio come voglio”, riproducendo in modo inerziale pratiche tradizionali è la peggior nemica di una scuola che sia capace di essere in sintonia con i bisogni formativi attuali.