BUCAREST – Quando in terza media si arriva a questo punto dell’anno, anche i fannulloni cominciano a ridestarsi dal letargo: giugno è ormai alle porte e con giugno gli esami.

Nonostante la prospettiva imminente scateni le reazioni più diverse – ansia, paura, insicurezza, sgomento o menefreghismo – la sostanza però rimane la stessa: occorre darsi una mossa!



Va detto, tuttavia, che non sempre i ragazzi hanno già chiaro il cammino da intraprendere; il vero segreto, perciò, sta nel suggerire loro un metodo così efficace da consentire a ciascuno di tagliare il traguardo con almeno un pizzico di soddisfazione. Solo chi possiede un metodo corretto saprà infatti dimostrare, innanzitutto a sé stesso, di aver raggiunto un discreto grado di maturazione.



Ma qui, ad essere chiamati in causa, siamo noi docenti, perché è in capo a noi il compito di fornirlo, questo metodo, senza la pretesa che tutti gli studenti riescano poi ad applicarlo con la stessa perizia e la stessa coerenza.

Sembra fin troppo scontato precisare che l’obiettivo stabilito non starà mai nel numero di informazioni da immagazzinare, quanto piuttosto nella capacità dello studente di esprimersi correttamente, di stabilire nessi tra le diverse discipline e di rischiare, alla fine, una propria opinione, provando persino ad argomentare.

La normativa riguardante l’esame di Stato è articolata e complessa; gli obiettivi sono ardui e il tema delle competenze si colloca al centro della valutazione. L’agenzia-scuola vuole insomma verificare se ciascun alunno sarà in grado di “spendere” vantaggiosamente quanto appreso, anche al di là dell’ambito strettamente scolastico.



Oltre alle prove scritte che contemplano il componimento di italiano, la prova relativa alle competenze logico-matematiche e, da ultimo, l’elaborato in lingua straniera, è previsto per ogni alunno un colloquio davanti alla commissione d’esame composta dai docenti di classe.

È proprio il colloquio a gettare nel panico buona parte dei ragazzi. Prepararlo insieme offre quindi l’opportunità di introdurli a quel metodo cui accennavo: dialogare in classe su temi di attualità aiutando gli studenti a mettere in campo le ragioni che supportano la loro posizione; guidare il dibattito tentando di far emergere domande chiave senza con questo lasciarsi intrappolare dalla menzogna delle ideologie; scoprire come gli interrogativi che certi autori si sono posti, coincidono in qualche misura con tante delle loro domande più o meno consapevoli; tutto questo lavorìo favorisce lo sviluppo di una coscienza critica ancora in nuce.

Da curare con estrema attenzione – anche per la madrelingua italiana della Scuola “Aldo Moro” di Bucarest – sarà l’uso della lingua: conoscerla, infatti, non coincide tout court con il padroneggiarla. È questa la ragione dell’insistenza, quasi ossessiva, sulla necessità di ripetere ad alta voce i contenuti a tema utilizzando magari un registratore per verificare i limiti della propria performance. Sarà così che gli studenti potranno accorgersi di quante parole manchino ancora all’appello nel loro vocabolario e di quanto determinante sarà, per il colloquio, un’esposizione organica e coerente. Fondamentale, al raggiungimento di questo obiettivo, è stato fornire ad ognuno un percorso, secondo passaggi graduali, nel quale collocare i contenuti organizzati per punti.

Nello stabilire i criteri per il colloquio d’esame, l’orientamento del nostro collegio non è stato quello di privilegiare la tradizionale “tesina” costruita sovente su nessi e collegamenti artificiosi e poco realistici. Gli alunni dovranno invece rispondere sul programma effettivamente svolto nel corso dell’anno, programma che ciascun docente farà loro firmare intorno alla metà del mese di maggio.

Impossibile infine non focalizzare l’attenzione sui ragazzi – 6 su 21, nella mia terza – madrelingua romena. Per costoro, inseriti nella scuola italiana all’inizio  di questo anno scolastico, verrà predisposto un percorso individualizzato così da favorirli sia nelle prove scritte che nel colloquio, dove dovranno dimostrare di sapersi minimamente destreggiare nell’uso dell’italiano.

Mi piace, a questo punto, citare una riflessione di D’Avenia che ritengo possa ben illuminare il cammino di chi, insegnando, accompagna gli studenti a chiudere un ciclo triennale (cfr. Corriere della Sera, 8 aprile 2024).  Scrive D’Avenia: “Noi non ci prendiamo cura delle persone perché le amiamo, ma impariamo ad amarle perché ci prendiamo cura di loro”. Neppure prepararsi agli esami può dunque esulare da questo lavoro così potentemente umano e così drammaticamente affascinante. Che ne sarà di loro? Impossibile sottrarsi all’urgenza definitiva di una tale domanda.

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