Mentre la riforma dell’esame di Stato del secondo ciclo di istruzione si appresta, in quest’anno scolastico, al varo, compie il suo secondo anno di navigazione quella del primo ciclo.

Rivisti dal D.Lgs 62/2017 e dal D.M. 741/2017, gli esami 2018 della scuola secondaria di primo grado sono stati ripensati da docenti, commissioni e collegi sulla base delle indicazioni contenute nella normativa, che chiedeva di modificare le modalità delle prove scritte (da cui veniva scorporata la prova Invalsi per divenire requisito di accesso al di là del risultato raggiunto) e del colloquio orale. Scopo della riforma, allineare la valutazione del momento finale del primo ciclo con quanto emerge dal profilo dello studente delle Indicazioni nazionali 2012, restituendo a pieno titolo il valore formativo e orientativo che la valutazione possiede.



Alle prese anche con le altre novità normative (veniva infatti contestualmente chiesto alle scuole di modificare le schede quadrimestrali che di lì a poco avrebbero dovuto essere utilizzate per comunicare gli esiti del percorso alle famiglie), non nascondo di aver provato – di fronte al lavoro da svolgere con la terza che mi apprestavo a condurre agli esami – il desiderio di avere più tempo per provare, sperimentare, studiare e realmente capire quello che la riforma chiedeva. Se si ripensa la meta, infatti, se cambia (fosse anche solo di poco) il punto cui devo attraccare, penso sia bene che possa da prima aggiustare la rotta, senza correre i rischi connessi a una brusca virata. Nella scuola un momento d’esame raccoglie sempre i frutti di un lavoro disteso nel tempo, che ha i ritmi lenti delle giornate, dei quadrimestri, di prove, spiegazioni e attività. Se si cambia l’esame è da prima, che si deve partire.



Detto questo, ogni scuola nel 2018 ha deliberato le modalità di conduzione degli esami, stabilite, dopo un lavoro di riflessione al seguito delle azioni di accompagnamento promosse, dalle note del Miur e – almeno per la materia che insegno – dal documento di orientamento per la redazione della prova scritta di italiano. A giugno ci sono stati gli esami, e nel corrente anno scolastico c’è uno scenario che si ripete. Ovvero: ci sono gli esami e le prove da preparare, ed è questo il mese in cui i collegi docenti dovranno di nuovo dare all’esame l’impronta della vision educativa che promuovono e condividono.



A venire incontro al mio bisogno di addentrarmi e capire, c’è stata una lodevole iniziativa dell’Ufficio scolastico della Lombardia, che appunto nel mese di giugno del 2018 ha avviato azioni di monitoraggio e rilevazione sull’andamento degli esami per raccogliere (come si legge nel rapporto sull’elaborazione dei dati) informazioni “utili a documentare il processo di innovazione in corso”.

Oltre all’osservazione dei colloqui orali in circa 170 scuole, tre distinti gruppi di lavoro hanno recensito e studiato le tracce prodotte dalle singole scuole, indagando il tentativo di rispondenza alla norma e riportando ai docenti – in seminari di formazione in diversi luoghi della Regione – criticità e punti di forza, esempi di tracce riuscite ma soprattutto domande e problemi con cui confrontarsi.

È questo, infatti, il contributo più grande che i collegi docenti possono trarre dal lavoro che è stato svolto, al di là degli spunti pratici che possono essere usati per riprogettare anche quest’anno gli esami: chiedersi cosa sia, per loro, l’esame. Che cosa ci sia in gioco: per gli studenti, che affrontano per la prima volta nella loro vita scolastica una prova in cui possono dire chi sono e mostrare ciò che hanno imparato; per i docenti, che hanno nel momento dell’esame un riscontro del loro lavoro e un’occasione speciale per imparare qualcosa dei loro studenti e dai loro studenti; per i dirigenti, che (un’altra grande novità introdotta lo scorso anno), trovandosi ad essere presidenti di commissione nelle loro scuole possono conoscere un po’ più da vicino i loro insegnanti, verificare e valutare la loro azione di indirizzo della didattica e delle attività della scuola e – insieme ai professori – riguadagnare lo scopo del proprio lavoro, cioè quello di far crescere un giovane offrendo strumenti, occasioni e possibilità perché, insieme a lui, egli stesso possa “prendere in mano la propria vita e farne un capolavoro”.