Qualche mese fa, alcuni amici che fanno parte dell’associazione “Nonni 2.0” mi hanno chiesto di far parte della giuria di un concorso per i ragazzi delle scuole intitolato appunto “Io e i nonni”, a cui si poteva partecipare inviando temi, poesie e disegni. A monte del concorso, vorrei farvi partecipi di alcune considerazioni.



Tanto per cominciare, il successo del concorso è stato – almeno per me – inaspettato: sono arrivati più di 2mila elaborati, da tutti e tre gli ordini di scuola (primarie e secondarie di primo e secondo grado), il che conferma che la presenza dei nonni nella vita dei giovani (bambini, adolescenti, ragazzi) è piuttosto significativa. Ho detto presenza, ma forse sarebbe più corretto parlare di “esistenza”: degli oltre 200 temi che hanno superato le eliminatorie, e sono arrivati alla giuria (gli astuti nonnetti avevano ben chiaro che se ci avessero mandato 2mila temi, avrebbero dovuto fronteggiare le dimissioni in massa della giuria…), una percentuale non irrilevante, che non ho quantificato perché non pensavo di scrivere un articolo, ma che stimerei in almeno il 20%, parla con/del nonno lontano, o morto, ma vivamente parte della loro esistenza. Anzi, mi ha stupito una certa lugubrezza dei bambini delle elementari che descrivono, non si sa se ispirati da qualche lettura, frequenti visite al cimitero che rievocano la presenza rimpianta del nonno, o in alternativa il rammarico per non averlo conosciuto.



Una tipologia di nonni assenti ma desiderati è quella delle famiglie migranti, in cui il nipotino italiano vorrebbe vedere più spesso il nonno o la nonna rimasto al paese per raccontargli come vive, e in qualche modo per ricongiungersi alle sue radici.

Venendo ai nonni vivi, c’è una netta spaccatura tra nonni e nonne. Il nonno sembra costituire nelle vite dei bambini il legame con il passato: “mi racconta di quando era piccolo”, “mi dice che erano molto poveri, e non avevano tutti i giochi che abbiamo noi”, “dai racconti del nonno ho potuto conoscere tante che cose che oggi non ci sono più”. In alcuni casi il nonno parla a sua volta dei genitori, fino al caso limite di un divertente bambino di terza elementare che parla del nonno di suo nonno che era in guerra contro gli austriaci (c’è anche un nonno che ha combattuto la terza guerra mondiale, e i membri della giuria si auguravano unanimemente che si trattasse di una svista e non di una profezia). Non sembra presente una preoccupazione esplicitamente educativa: il nonno è un amabile compagno di giochi, un maestro che insegna cose diverse dalla scuola, come curare le galline o i fiori, e talvolta un alleato nei confronti della nonna e dei genitori.



La nonna è più presente nella vita dei ragazzi, spesso con la precisazione “quando la mamma lavora”, e in un paio di casi “quando papà se n’è andato”, ma parrebbe che la dote più apprezzata sia quella di essere una buona e talvolta ottima cuoca, talvolta anche insegnante di cucina. La nonna, però, ha anche qualche preoccupazione educativa: si occupa dei compiti, rimprovera di tanto in tanto, ma anche cura e consola. Le nonne guardano molto la televisione, mentre i nonni guidano il nipotino (più raramente la nipotina) nell’appassionante mondo del tifo calcistico.

Anche i nonni come coppia sono presenti, con vivide descrizioni come quelle di una bambina che ha due nonni polacchi e due indiani, e paragona con molta acutezza i due diversi stili di vita. Dove i nonni sono in coppia, si amano molto e raccontano ai nipotini le vicende della loro vita insieme; se ci sono due coppie di nonni, molto spesso ci sono i nonni “da città”, che il bambino vede regolarmente e che hanno anche funzioni di cura, e i nonni “da vacanza”, presso cui si passa una parte dell’estate, generalmente rimpianti durante il periodo scolastico. Tutti i nonni sembrano però impegnati a far fare delle esperienze ai nipoti, soprattutto quando sono piccoli: in cambio, si fanno aiutare nell’utilizzo di computer e telefonini.

Un’altra serie di considerazioni mi vengono dalla tipologia dei lavori. Nella scuola primaria, maschi e femmine sono circa lo stesso numero; nella secondaria di primo grado la maggioranza è nettamente femminile; nella secondaria di secondo grado, c’è un vero dominio: lo stereotipo che scrivere è cosa da donne sembra confermarsi, e diventa schiacciante se guardiamo le poesie (tra i lavori che ci sono arrivati, una netta minoranza, direi una quindicina): se ben ricordo, solo due poesie erano scritte da maschi.

Si tratta di considerazioni del tutto episodiche, ma mi sembra che mostrino una consolante persistenza della dimensione generazionale: i bambini riconoscono e amano la trasmissione delle esperienze e dei valori, spesso anche dei valori religiosi, e riconoscono nei nonni una parte importante della loro vita, apprezzata quando è presente, rimpianta e spesso desiderata quando è venuta meno. Forse, se vale l’idea che la generazione di oggi è ancora senza padri né maestri, possiamo almeno contare sui nonni…