Dopo l’anno della pandemia e quello della “resistenza”, il 2022 è stato definito l’anno della “ripartenza” e il Rapporto giovani dell’Istituto Toniolo ancora una volta osserva, analizza e comprende fatti che devono far riflettere, perché i giovani sono il nostro bene più prezioso e una famiglia che non si preoccupa, né si prende cura di loro, non ha diritto di essere tale e uno Stato che, interrogandosi sulla salute dei giovani, non disponga di politiche adeguate, semplicemente non ha futuro.
Occorre vedere alcuni dati che il rapporto elabora con il consueto rigore: il tasso di occupazione dei giovani italiani nella fascia 15-24 anni è tra i più bassi d’Europa, pari al 18%, mentre la media europea è vicina al 35%; sul fronte dei laureati (per quanto le cose stiano migliorando), siamo ancora molto lontani dalla media europea: in Italia la percentuale è del 27,9%, mentre la media europea è al 42,1 % (siamo penultimi: peggio di noi fa solo la Romania); sul fronte degli abbandoni degli studi superiori la percentuale dei giovani della fascia 18-24 ami che hanno lasciato o interrotto gli studi senza aver conseguito un diploma si attesta al 13,1%, 4 punti al di sopra della media europea (9,9 %).
Va da sé che la maggior parte dei giovani che conseguono un diploma universitario trova relativamente facilmente un lavoro – nella fascia dei giovani tra i 18 e i 24 anni che non hanno diplomi né qualifiche, soltanto un terzo risulta occupato (33,2%) – occorre quindi intervenire sulla ragioni che determinano l’interruzione e va osservato con attenzione il dato che esprime una valutazione insufficiente alla relazione con i propri docenti espressa da chi si è laureato: nel 2015 era al 16,6%, nel 2020 sale al 17,3%: i giovani cercano insegnanti che sappiano motivare, che sappiano mettersi in gioco mostrando in prima persona la passione per l’imparare e la cura verso l’azione didattica.
Se i dati sinora osservati sono preoccupanti, occorre pur riconoscere che una parte non marginale delle risorse del Pnrr è e sarà rivolta alla messa in moto di processi che sappiano invertire queste tendenze, ma ci sono altri dati che occorre osservare e sono, ahimè, ben più allarmanti: i giovani tra i 19 e i 34 anni che sostengono di avere un sogno sono scesi dal 64,4% al 57,4% (-7%); quelli che esprimono una capacità di riconoscere gli aspetti positivi delle situazioni passa dal 65,2% al 58,5%; l’empatia passa dal 71,7% al 65,0%; la capacità di risolvere i problemi scende dal 68,6% al 62,3%.
Qui non si misura una performance, ma qualcosa di addirittura più essenziale: la speranza. Qui i giovani dichiarano una crescente sfiducia, verso il contesto, verso il futuro, verso la società, verso sé stessi. Cinismo, disillusione, apatia: sono dinamiche estranee alle esperienze dei nostri figli?
Il fatto è in sé gravissimo perché quello a cui assistiamo e di cui – occorre dirlo – siamo responsabili, è il frantumarsi della speranza nei giovani. Noi genitori, noi insegnanti, noi educatori, noi professionisti, noi politici, noi tutti attori siamo colpevoli di uno dei peccati più gravi possibili: la perdita della speranza. Troppo e per troppo tempo abbiamo assecondato e collaborato a un modello di vita in cui lo sviluppo economico, la crescita sfrenata fosse il solo paradigma da inseguire, senza accorgerci nel frattempo che i nostri figli chiedevano e chiedono molto altro.
Lo dice bene nell’introduzione del Rapporto il professor Rosina: “Capiremo davvero di essere sulla strada giusta quando, anziché preoccuparci delle variazioni del Pil, l’attenzione sarà concentrata sulla qualità dell’occupazione creata e sulle dinamiche degli indicatori di benessere e di sviluppo sostenibile … ma ancor più quando miglioreranno oggettivamente le condizioni delle nuove generazioni e i giovani percepiranno di vivere in un Paese che scommette su di loro, considerando competenze, sensibilità e capacità, il carburante principale per alimentare una nuova fase di crescita (più qualitativa che quantitativa)”.
La scommessa non è ancora persa se puntiamo sulla qualità dei rapporti con i nostri figli, se ingaggiamo con loro e in loro la ricerca del talento, se ne sosteniamo la tensione (anche e soprattutto se non è la nostra idea) e li aiutiamo a rialzarsi tutte le volte che serve.
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