Digitate sul motore di ricerca “movida residenti”. Ne verrà fuori una sfilza di città tormentate da questo attentato permanente alla quiete pubblica: Milano, Roma, Palermo, Firenze, Taranto, Napoli, Trento, Cagliari, Bari, Avellino, per limitarci alle prime dieci. Parecchie decine sono di conseguenza i comitati di cittadini costretti a organizzarsi per difendere diritti elementari: alla tranquillità, al riposo, alla salute. E questo da molti anni, spesso da decenni.
Il fenomeno della “mala movida” mette in plateale evidenza, come una potente lente di ingrandimento, due tra le più gravi patologie della nostra società. Una è la crisi dell’educazione, a cui hanno molto contribuito teorie pedagogiche non fondate sulle reali esigenze dello sviluppo psichico. Tra queste è essenziale il graduale allenamento al principio di realtà e il conseguente superamento dell’egocentrismo infantile. La mancanza di orientamenti e di valori saldamente condivisi nella società ha indebolito la capacità dei genitori di guidare la crescita dei figli. E purtroppo anche la scuola, come sappiamo, si è in buona parte accodata al trend educativo della “non frustrazione”. Ma senza la necessaria fermezza, cioè la capacità di assumere e mantenere atteggiamenti e decisioni nel loro interesse educativo, ci sono molte probabilità che i bambini diventino adulti egocentrici, cioè incapaci di tener conto dei diritti altrui, spesso arroganti, insofferenti alle regole, pieni di pretese e suscettibili. È proprio questo il tipo di frequentatori della movida che emerge regolarmente dalla cronache giornalistiche; e particolarmente significative sono le reazioni rabbiose e a volte violente alle proteste di chi vorrebbe dormire.
La seconda grave carenza che le notti della movida mettono in risalto è il venir meno dello Stato a una delle sue principali responsabilità, quella di proteggere i cittadini: facendo rispettare le sue leggi (in questo caso permessi, orari, volume della musica, limiti alla vendita di alcolici), prevedendo e comminando sanzioni adeguate. Ma a chi chiama le forze dell’ordine perché il rumore o la musica gli impediscono di dormire, di rado qualcuno risponde; chi ci riesce quasi sempre si sente dire che “non ci sono pattuglie disponibili”, come raccontano innumerevoli vittime della movida; e questo notte dopo notte, anno dopo anno.
C’è infine un tema che nel fenomeno della movida collega il vuoto educativo con il vuoto di protezione da parte delle istituzioni: quello del crescente consumo di alcolici da parte dei giovani. Da un lato ci si chiede quanti genitori si preoccupino – e si occupino – delle sbornie dei figli (molte ragazze e ancor più ragazzi fanno già alle medie la loro prima esperienza di coma etilico). Quanto allo Stato, siamo da molti anni in attesa di una campagna contro l’abuso di alcol paragonabile a quella contro il fumo. Eppure il consumo eccessivo abituale, secondo i dati della Società italiana di tossicologia, riguarda il 15,5% degli uomini e il 6,2% delle donne; le ubriacature occasionali il 10% dei primi e il 2,5% delle seconde. E ogni anno 40mila italiani muoiono per malattie correlate all’alcol.