Il ministero dell’Istruzione ha deciso e, viste anche le scadenze di carattere internazionale, ha proposto ed ottenuto il 22 aprile scorso l’approvazione dal Consiglio dei ministri di una nuova modalità per il reclutamento e di formazione iniziale dei docenti.
La responsabilità è grande, per le pressioni crescenti e l’urgenza di avere una modalità innovativa rispetto al passato: funzionale, veloce, semplificata da un punto di vista burocratico che permetta, a chi lo desidera, di ottenere l’abilitazione all’insegnamento indipendentemente dall’assunzione in ruolo nello Stato, con una formazione iniziale all’altezza dei tempi ed in linea con i Paesi con i sistemi scolatici più avanzati secondo il ranking internazionale.
Il fatto che questa sia la sesta riforma in vent’anni evidenzia la complessità del problema e, come nel passato, vincoli e veti hanno fatto partorire riforme che hanno dato solo risposte parziali alle esigenze non solo legate alla modernizzazione e all’innovazione del nostro sistema scolastico di istruzione e formazione, ma anche alle esigenze sociali legate all’urgenza ed al dovere di dare una stabilizzazione di lavoro ai docenti, giovani in primis, affinché possano programmare il loro futuro personale.
Onestamente sorge un primo dubbio: “vera volontà politica” di mettere mano in maniera risolutiva ad un annoso problema che oggi vede giovani laureati da ben otto anni nella impossibilità di potersi abilitare potendo accedere solo ad un lavoro precario, o “necessità economica” per dare risposta alle richieste europee che hanno posto tra le riforme irrinunciabili una riforma della procedura di assunzione e formazione iniziale dei docenti e accelerare la realizzazione del Pnrr?
Lo capiremo a testo definitivo approvato entro giugno. Nel frattempo, non sono mancate da subito le inevitabili e tradizionali critiche e polemiche che accompagnano da sempre una proposta di riforma. Il mondo politico ha lamentato il fatto che la presentazione del testo in Consiglio dei ministri sia avvenuta senza una previa condivisione e lettura da parte degli stessi ministri. Sicuramente i tempi stretti legati alla necessità di rispettare le scadenze previste dal Pnrr hanno inciso, ma la mancata condivisione ha messo sul piede di guerra i sindacati, con reazioni che vanno da riforma inadeguata a riforma che porta indietro la scuola di quarant’anni, fino a considerarla inaccettabile, bocciando non solo i contenuti ma anche il metodo, ossia la scelta di far approvare “un piano di questa portata” senza un vero confronto, né con il Parlamento né con le parti sociali, in contrasto con il Patto per la scuola firmato l’anno scorso, che prevedeva un percorso partecipato su questi temi.
La speranza è che questi contrasti possano rientrare a seguito di un sereno confronto, ma che soprattutto il risultato finale possa essere l’approvazione della riforma di cui il Paese ha bisogno per portare il nostro sistema scolastico verso la necessaria modernizzazione, che non può che partire da docenti adeguatamente preparati e qualificati ad affrontare le sfide professionali ed educative che il nostro tempo richiede e di cui i nostri studenti hanno diritto.
I due mesi di confronto e dibattito parlamentare che porteranno all’approvazione definitiva assumono una grande importanza e la politica è chiamata ad assumersi tutte sue responsabilità per varare un testo adeguato alle attese ed alle necessità.
Personalmente ritengo che il testo proposto abbia un’impostazione di base positiva, che nel medio periodo produrrà miglioramenti alla procedura di reclutamento e di abilitazione e al livello di formazione iniziale dei docenti.
Occorrono ritocchi ed aggiustamenti ed in questo concordo sostanzialmente con quanto indicato da Carlo De Michele nel suo recente articolo. Ritengo importante che il testo presentato preveda due fasi distinte per l’acquisizione dell’abilitazione all’insegnamento e la partecipazione al concorso per l’assunzione nello Stato poiché, a regime, questo permetterà di avere costantemente sul mercato del lavoro un adeguato numero di docenti abilitati a pro del settore paritario, che potrà disporre di personale docente qualificato, e dei nostri giovani, che potranno uscire dalla situazione di precariato e stipulare contratti a tempo indeterminato. Occorrerà, invece, rinforzare e consolidare la sinergia scuola-università nella fase di preparazione per l’acquisizione dell’abilitazione per rafforzare la “preparazione pratica sul campo” dei nuovi docenti già al momento dell’abilitazione, per non rimandarla solo all’anno di tirocinio.
Problemi gravi, invece, sorgono per il nostro settore dato che, ancora una volta, la scuola paritaria è stata dimenticata. Continuiamo ad essere invisibili. La struttura della proposta è per la scuola statale, fatta su misura sul modello statale e legata ai contratti di lavoro previsti per il personale statale. Non può essere così! La nuova procedura deve considerare tutte le esigenze di sistema e, dall’approvazione della legge 62/2000, deve tener conto che le scuole paritarie fanno parte a pieno titolo, e dovrebbe essere anche con pari dignità, dell’unico Sistema nazionale di istruzione e formazione.
Quando il ministero deciderà di tenerne conto?
Se, ad esempio nell’art. 5 comma 4, si prevede una deroga per i docenti che hanno “un servizio presso le istituzioni scolastiche statali di almeno tre anni scolastici, anche non continuativi, nei cinque anni precedenti”, perché non prevedere analoga deroga anche per chi ha svolto il servizio nella scuola paritaria?
Le associazioni di settore si sono mosse nell’immediato e, con un comunicato hanno sollecitato il mondo politico a ricordarsi anche delle scuole paritarie, proponendo le modifiche necessarie. Occorre, ad esempio, che le norme transitorie contemplino una procedura che preveda una soluzione per i 15mila docenti delle scuole paritarie in attesa di potersi abilitare e così stabilizzare il loro contratto di lavoro.
Il mondo politico, diversi esponenti di alcuni partiti, sembra abbiano recepito il problema. Ci auguriamo che arrivino anche le modifiche e la soluzione e ci venga tolto, anche per il futuro, il “mantello dell’invisibilità”.
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