Facendo seguito alla seduta del Consiglio dei ministri dello scorso 21 aprile, sabato 30 aprile è stato pubblicato il decreto legge n. 36, “Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr)”.
Il decreto, che contiene interventi su disparate misure, agli articoli 44, 45 e 46 vara norme sulla formazione iniziale e continua dei docenti delle scuole secondarie, sulla valorizzazione del personale docente e sulla semplificazione della procedura di reclutamento degli insegnanti.
Trattandosi di decreto legge, i provvedimenti cominciano ora il loro percorso parlamentare e saranno passibili di ulteriori modifiche: già da giorni, comunque, su più fronti non sono mancate critiche e distinguo sulle misure proposte (hanno fatto sentire la loro voce associazioni professionali di docenti e dirigenti, sindacati, studiosi e politici).
Le misure adottate per la scuola rispondono in primo luogo all’esigenza pratica di facilitare i processi di reclutamento dei docenti per la scuola secondaria, in modo da consentire la dichiarata immissione in ruolo entro il 2024 di 70mila docenti; si pensa, così, di far fronte alla cronica carenza di personale abilitato, soprattutto dopo il fallimento dell’attuale concorso ordinario; fallimento dovuto, su un piano, all’impianto generale della selezione e alla tipologia delle prove proposte, su un altro agli esiti, in termini di percentuali di candidati promossi.
I provvedimenti per la scuola del decreto, collocandosi all’interno delle misure previste dal Pnrr, intendono dare avvio a una parte del piano di riforme previste all’interno della “missione” n. 4, “Istruzione e Ricerca”, la cui attuazione è condizione necessaria per l’acquisizione delle ingenti risorse europee assegnate all’Italia nell’ambito del programma finanziario straordinario di ripresa e resilienza.
In relazione alla misura “2.1 Reclutamento dei docenti”, il piano intende raggiungere il traguardo “entrata in vigore della riforma” (scadenza: il 30 giugno 2022) e il raggiungimento del già citato obiettivo “70.000 insegnanti reclutati secondo il nuovo sistema di reclutamento” (da conseguire entro il 30 dicembre 2024).
Per comprendere meglio tali tecnicismi, è utile richiamare alcuni elementi del piano programmatico europeo all’interno del quale si colloca il decreto, che beneficia delle risorse europee del Next Generation Eu. Tali risorse si affiancano a quelle già ordinariamente previste dal Quadro finanziario europeo (Qfp) per il settennato 2021-2027.
NGEu, come è noto, è uno strumento straordinario e aggiuntivo e viene finanziato non dai contributi erogati dai singoli Stati membri, ma da risorse acquisite dal mercato finanziario, a costi più vantaggiosi rispetto a quelli previsti per i singoli Stati e con un periodo di rimborso che dura fino al 2058. Gli importi vengono assegnati sulla base di specifiche politiche e sono suddivisi tra sovvenzioni (a fondo perduto) e prestiti.
La componente più importante di NGEu è rappresentata dal “Dispositivo per la ripresa e la resilienza”, attuato mediante i “Piani nazionali di ripresa e resilienza”, da concludere entro agosto 2026.
Solo per avere un’idea delle risorse in campo, si fa presente che il bilancio del “Quadro finanziario pluriennale 2021-2027” dell’Ue ha a disposizione circa 1.074 miliardi di euro, il “Next Generation EU” 750 miliardi e, all’interno di questo, le risorse del “Dispositivo per la Ripresa e la Resilienza” sono pari a 672,5 miliardi di euro. Il piano per l’Italia è quello con la maggiore dotazione di risorse: 191,5 miliardi di euro (di cui circa 69 a sovvenzione e 123 a prestito), a cui si aggiungono circa 30 miliardi di euro di risorse nazionali aggiuntive al Pnrr e altri 13 miliardi di risorse dello strumento “React Eu” (iniziativa europea che assegna risorse da spendere entro il 2023, sempre nell’ottica di superare gli effetti dell’emergenza pandemica).
Si tratta, dunque, di una enorme iniezione di risorse, che, nel loro insieme, pretendono di essere composte all’interno di un piano programmatico unitario e strutturato.
Le assegnazioni ai singoli Stati avvengono sulla base di rate semestrali, erogate ai singoli Paesi attuatori, solo in seguito al verificato conseguimento di “traguardi” e “obiettivi” prefissati in fase progettuale.
I traguardi (traduzione italiana dall’inglese “milestone”, pietra miliare) sono eventi che registrano il corretto avanzamento dell’attuazione di un progetto e sono oggettivamente riscontrabili. Gli obiettivi (dall’inglese “target”), sono risultati quantitativi misurabili e verificabili di un intervento, fissati in base a indicatori definiti ex ante.
A tale proposito, l’approvazione di una riforma costituisce un traguardo (o “milestone”), mentre un risultato quantitativo (per esempio, 70mila docenti immessi in ruolo entro il 31 dicembre 2024) costituisce un obiettivo (o “target”).
Il piano programmatico si articola in 6 “missioni” e 16 “componenti”. La missione M4, “Istruzione e ricerca” prevede come componente C1 “Potenziamento delle competenze e diritto alla studio” a cui sono assegnati 21 miliardi di euro.
Le componenti sono, a loro volta suddivise in “ambiti di interventi” e “misure”, e queste ultime possono, a loro volta prevedere “riforme” o “investimenti”.
Da notare che il ministero dell’Istruzione, in relazione alla distribuzione delle risorse (decreto del Mef del 6 agosto 2021), è, tra i vari dicasteri, al quarto posto per le assegnazioni, preceduto solo dal ministero delle Infrastrutture e trasporti, da quello della Transizione ecologica e dal dicastero dello Sviluppo economico: gli interventi per il miglioramento del sistema di istruzione sono dunque considerati centrali all’interno della strategia di rilancio del nostro Paese dopo la pandemia. Sarebbe bene che tale fiume di risorse venisse speso in modo efficace e lungimirante, senza sprechi.
Ma che cosa prevede nel concreto il decreto sulla riforma del reclutamento dei docenti? E quali sono le ragioni che hanno suscitato reazioni negative da parte di tanti soggetti?
All’articolo 44 vengono regolati la formazione iniziale per i docenti di scuola secondaria, le modalità di acquisizione di abilitazione e l’accesso all’insegnamento.
Il sistema prevede tre elementi:
– percorsi universitari abilitanti;
– concorsi banditi a scadenza annuale, finalizzati all’immissione in ruolo;
– periodo di formazione e prova, con valutazione conclusiva.
L’abilitazione all’insegnamento si acquisirà attraverso un percorso universitario, per complessivi 60 crediti, che possono essere conseguiti durante o dopo i percorsi universitari, in aggiunta ai crediti relativi al proprio titolo di studio. Si prevede un periodo di tirocinio (per 20 crediti) e un esame finale con prova scritta e lezione simulata, per testare anche la capacità di insegnamento dei candidati. Alle attività di tutoraggio, all’interno dei percorsi di formazione iniziale, sono preposti docenti di scuole secondarie di primo e secondo grado.
Chi ha maturato 3 anni di servizio nella scuola statale, può partecipare direttamente al concorso e acquisire l’abilitazione, dopo aver superato il concorso, aver successivamente conseguito 30 crediti formativi universitari e aver sostenuto la prova abilitante (attenzione: questa non è una norma transitoria, come si è pensato inizialmente).
In via transitoria, fino al 31 dicembre 2024, può accedere al concorso chi ha una formazione iniziale di 30 crediti formativi universitari (invece dei 60 previsti).
Il decreto, delibera, poi, in merito alla formazione continua dei docenti, all’istituzione della “Scuola nazionale di alta formazione dell’istruzione” e alla creazione di un sistema di formazione continua incentivata per gli insegnanti.
L’attuazione in modo continuativo e strutturato di iniziative di formazione continua, si dichiara, è finalizzata alla diffusione di modelli didattici innovativi, in linea con le finalità indicate nel Pnrr. Alla già obbligatoria formazione sulle competenze digitali e sull’uso critico e responsabile degli strumenti digitali (che si svolgerà in orario di lavoro), si introdurrà un sistema di formazione e aggiornamento pianificato su base triennale, che fornirà ai docenti competenze di progettazione didattica con strumenti e metodi innovativi, da svolgersi al di fuori dell’orario di servizio. Tale formazione potrà essere retribuita dalle scuole, se legata ad un ampliamento dell’offerta formativa, e potrà dare ai docenti la possibilità di accedere a un incentivo retributivo (“indennità una tantum”).
Per reperire le risorse necessarie, il decreto prevede una “razionalizzazione dell’organico di diritto” (cioè a un taglio dei posti) dall’anno scolastico 2026/27, fino al 2030/31, che interesserà soprattutto il contingente legato al potenziamento dell’offerta formativa.
La “Scuola di alta formazione” (riforma da attuare entro il prossimo 31 dicembre, pena la perdita dei fondi del Pnrr) sarà chiamata ad adottare linee di indirizzo in materia di formazione continua; avrà, inoltre, i compiti di accreditare e valutare le strutture che dovranno erogare i corsi e di attuare un piano di formazione per dirigenti scolastici e personale Ata delle scuole.
Come si è anticipato, le misure hanno suscitato reazioni diverse e critiche con toni più o meno accesi da tante parti.
All’indomani dell’emanazione del provvedimento, alcuni esponenti sindacali si sono espressi in modo molto forte contro la prevista razionalizzazione dell’organico, prevista per finanziare l’incentivazione alla formazione: è stata annunciata una mobilitazione che potrebbe portare anche allo sciopero.
In relazione all’istituzione del nuovo sistema di reclutamento, l’associazione di dirigenti scolastici Andis ha, invece, espresso un giudizio positivo, salutandola come un rimedio all’endemico problema della precarizzazione dei docenti.
L’Anp, l’Associazione nazionale presidi, intravede, invece, più luci che ombre, lamentando la mancata istituzione di un middle management nella scuola, “la scarsa attenzione alle elevate professionalità e l’ancoraggio della valorizzazione dei docenti ai soli percorsi formativi”.
Giorgio Chiosso bolla il provvedimento con la formula “più quantità che qualità”, ribadendo la scarsa valenza formativa e professionalizzante dei percorsi proposti.
Anche l’Adi, Associazione docenti e dirigenti italiani, esprime “preoccupazione e delusione per l’inefficacia delle riforme”, deplorando la mancata istituzione di percorsi universitari specifici e strutturati per insegnanti. In questo modo, afferma l’Adi, il ministero non concepisce la docenza come una professione con specifici percorsi formativi, standard professionali, codice deontologico, selezione rigorosa e organi professionali: come in passato, la categoria dei docenti viene di fatto assimilata a una “corporazione di impiegati di concetto, più che a professionisti”.
Anche l’ex sottosegretario Gabriele Toccafondi, che è comunque parte della maggioranza di governo, proprio dalle pagine del Sussidiario ha espresso le proprie perplessità ed evidenzia i problemi e i nodi aperti del nuovo sistema di formazione iniziale e reclutamento dei docenti.
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