Il disegno di legge sulla formazione iniziale e sul reclutamento dei docenti per la scuola secondaria, di primo e secondo grado, cioè medie e superiori, sta avendo una accelerazione e sembra in dirittura d’arrivo. Entro il mese di giugno il governo si è impegnato ad approvare un testo che deve regolamentare una questione decisiva, considerata tra le riforme cardine del Pnrr.



In questi giorni sono circolate delle bozze, soprattutto su alcuni siti on line, e sono state fornite alcune anticipazioni ai sindacati, ma un testo ufficiale non è stato reso noto: crediamo invece che per la centralità della questione sia decisivo aprire un confronto più ampio, anche attraverso un maggiore ascolto di proposte e suggerimenti, specie in questa fase conclusiva e decisionale.



Certo, siamo consapevoli che si debba procedere speditamente, perché occorre porre mano – anzi rimedio – ad una situazione che si trascina da anni e che ha generato un sistema ingestibile, ingiusto, confuso: basti pensare al meccanismo delle graduatorie, più o meno a esaurimento, o al vero e proprio mercato per l’acquisizione dei famosi 24 Cfu, o alle contraddizioni degli ultimi concorsi, alcuni ancora in corso di svolgimento.

Ma è altrettanto vero che occorre che l’intervento sia ponderato, soprattutto adeguato alla grande questione che è in gioco in questa partita: dalla modalità con cui ci si prepara e si accede all’insegnamento dipende la qualità degli insegnanti e la qualità della scuola, dipende quindi la risposta al tema della formazione dei giovani, dell’innalzamento dei livelli di apprendimento, del reale contrasto all’abbandono scolastico. Dobbiamo essere consapevoli che qualunque discorso sul capitale umano, sulla formazione dei giovani quale leva per la ripresa economica e sociale del nostro Paese deve avere al centro l’investimento non tanto, in maniera generica, sulla scuola, ma sui suoi principali protagonisti, cioè gli insegnanti. Una professione – quella del docente – che deve tornare ad essere riconosciuta come centrale, desiderabile dai giovani, con regole certe e stabili di accesso, con valorizzazione anche dal punto di vista economico, con ridefinizione del profilo e possibilità di sviluppo di carriera.



Siamo preoccupati del fatto che alla scuola, nel percorso di formazione iniziale che sembra prefigurarsi (per quelle che sono le informazioni a nostra disposizione), venga attribuito un ruolo marginale rispetto all’università, mentre sappiamo bene quanto siano importanti, oltre alle conoscenze accademiche, anche le competenze acquisite nell’esperienza, all’interno della scuola.

Per questo riteniamo che l’abilitazione dovrebbe conseguirsi al termine di un percorso strutturato, cui accedere dopo la laurea o il diploma Afam di secondo livello, durante il quale si possano acquisire le conoscenze, le competenze e le pratiche professionali specifiche per l’insegnamento nella scuola secondaria di primo e secondo grado.

Il percorso abilitante dovrebbe essere perciò caratterizzato da una parte di studio, in ambito universitario, nella quale vengono acquisite/completate le conoscenze psico-pedagogiche e metodologico-didattiche relative alle discipline con riferimento alle specifiche classi di concorso per l’insegnamento e, parallelamente, da un periodo di tirocinio attivo in ambito scolastico (o praticantato) volto all’acquisizione delle competenze operative per l’insegnamento e la gestione delle attività funzionali alla professione docente.

Le due attività non dovrebbero essere distinte e separate, ma integrarsi tra di loro in modo armonico. Per questo sarebbe opportuno che questi percorsi fossero definiti – e sarebbe una novità di grande rilievo oltre che di fattibile realizzazione – attraverso una co-progettazione tra scuola – o reti di scuole – ed università. In questo modo anche l’attività di tirocinio avrebbe un riconoscimento formale e significativo per il conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento, che non sarebbe legata quindi solo alle conoscenze di natura accademica, che rimangono evidentemente decisive: è giunto però il momento di prestare reale attenzione alla verifica del possesso da parte dei futuri docenti di quelle competenze ed attitudini quali la capacità di gestire la classe, di lavorare in gruppo, di empatia che si acquisiscono solo in azione e si scoprono attraverso l’osservazione sul campo.

Nella proposta ministeriale che circola l’accertamento di queste competenze viene relegato, così come del resto avviene già ora, al cosiddetto “anno di prova” dopo il concorso: ma tutti sanno che questo modello non ha funzionato e non può funzionare, considerati i vincoli di carattere giuridico, sindacale, procedurale che rendono pressoché impossibile una reale valutazione della professionalità dei neo-docenti e, nel caso di incapacità, l’eventuale adozione di provvedimenti di conseguenza. Riteniamo pertanto che l’accertamento del possesso di queste competenze debba avvenire proprio nel momento in cui si deve riconoscere l’abilità all’insegnamento, e non dopo.

C’è un altro nodo su cui occorre porre l’accento: riteniamo necessaria una separazione tra abilitazione e reclutamento, per superare l’annoso sistema delle graduatorie, che hanno ingenerato attese, frustrazioni, e spesso anche allontanano tanti giovani aspiranti docenti; la creazione di un “albo” degli abilitati, ad esempio, avrebbe numerosi vantaggi, consentirebbe infatti di snellire tempi e procedure per i concorsi, ma anche darebbe alle scuole paritarie la garanzia di avere docenti abilitati.

Quelle appena esposte sono solo proposte per rispondere ad alcune tra le questioni in ballo, che riteniamo però decisive per la libertà e la qualità dell’insegnamento, anche nella prospettiva di una riforma che dovrà incidere anche nei prossimi anni: è questo il motivo per cui le associazioni professionali, come Diesse, dovrebbero essere coinvolte in questo confronto ed è auspicabile che ci sia ancora spazio per accogliere proposte ed interventi di cambiamento.

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