La qualità della scuola passa in buona sostanza dagli insegnanti: formazione iniziale, formazione in itinere, selezione, reclutamento, livello retributivo e strumenti per incentivare il merito sono strumenti fondamentali.

La scuola, percorso educativo fatto per i ragazzi, ha bisogno di insegnanti bravi e motivati, selezionati, con un livello retributivo adeguato ed incentivati. 



Il Pnrr conteneva le indicazioni di alcune riforme in tal senso e tanta era, da un anno, l’attesa.

Il provvedimento è finalmente giunto al suo passaggio cruciale: un decreto legge votato in Consiglio dei ministri venerdì scorso che inizierà nei prossimi giorni dal Senato il percorso parlamentare.

Molti sarebbero i rilievi sul piano del metodo, ma qui mi limito solo ad elencarli: i partiti e i sindacati sono stati coinvolti solo a cose fatte; il provvedimento non riguarda solo la scuola ma un complesso di interventi sulle più disparate materie, quindi non è detto che la Commissione Istruzione possa dire la sua; si è scelto di procedere all’ultimo minuto e con un decreto legge, che limita le possibilità di incidere; difficilmente potranno esprimersi entrambe le camere.



Entrando nel merito invece, l’impianto complessivo della formazione iniziale è complessivamente ben indirizzato verso una soluzione apprezzabile. Nei fondamenti “teorici” è una ibridazione del percorso previsto dalla riforma Renzi-Fedeli (il cosiddetto Fit) e del vecchio Tfa, in particolare sul punto fondamentale che per insegnare non basta una laurea ma serve una formazione specifica, che abbia anche un’importante parte di tirocinio sul campo.

A preoccuparci, su questo specifico aspetto, sono tre questioni. La prima riguarda l’efficacia di un sistema così congegnato in relazione alle classi di concorso afferenti alle cosiddette lauree Stem (in particolare matematica, fisica e ingegneria), dove la carenza di organico è particolarmente significativa. Le altre due riguardano gli accorgimenti che dovranno essere introdotti per evitare di creare una pletora di abilitati che poi faranno pressione per essere immessi in ruolo senza alcuna valutazione del proprio operato sul campo e la presenza di ben due regimi derogatori: il cosiddetto transitorio (per il quale non ci sono garanzie che non venga prorogato sine die da provvedimenti successivi) e il percorso semplificato per chi matura tre anni di servizio. Concretamente, sarebbe quindi necessario intervenire su diversi punti.



1. Ascoltare le voci preoccupate che si levano dalle università, in particolare dalle facoltà scientifiche, che peraltro hanno rappresentato – assieme ai pedagogisti – il nucleo di ideazione e progettazione dei percorsi abilitanti del passato (Ssis, Tfa e Fit), nonché le osservazioni di chi ha svolto il delicato compito di tutoraggio dei tirocinanti, figure fondamentali che rappresentano il collegamento tra mondo della scuola e università.

2. Individuare forme di programmazione efficace del fabbisogno di abilitati, tenendo conto della presenza delle scuole paritarie e della mobilità.

3. Archiviare da subito (e non dal 2025) il concorso a crocette a tutela della qualità e dell’efficacia della selezione, perché un concorso deve selezionare sulla capacità di insegnamento non soltanto sulle conoscenze nozionistiche.

4. Rivedere il percorso per i docenti specializzati per il sostegno, i quali dovrebbero far seguire alla specializzazione non un concorso tradizionale, ma un tirocinio retribuito e valutato di uno o due anni.

5. Eliminare la fase transitoria, che rischia di trasformarsi agevolmente in definitiva, e ripensare il percorso riservato al personale con più anni di servizio, immaginando soluzioni davvero innovative: possibile che tutti dicano (giustamente) che il bravo docente lo si giudica da come lavora e non si trovi il modo per valutare in modo vincolante questi docenti, che lavorano da anni?

Per quel che riguarda invece la cosiddetta formazione incentivata, l’impianto delle bozze che sono circolate appare confuso e arzigogolato e senza alcun collegamento reale tra lo sviluppo professionale e la carriera e senza riconoscere il fondamentale ruolo del cosiddetto “middle management”. Ci si limita a riconoscere un incentivo economico alla formazione, demandando alla contrattazione nazionale i dettagli quantitativi. Oltre a questo limite, strutturale, vedo diverse criticità pratiche.

1. Si determina un complesso intreccio tra norme di legge e pattizie che rischia di renderne assai difficoltosa l’applicazione.

2. La copertura economica dell’incentivo è al momento indefinita e poiché viene demandata al contratto, rischia di condizionarne permanentemente il rinnovo, visto che dovranno convivere sullo stesso fondo le risorse da destinare all’aumento stipendiale per tutti e quelle da destinare all’incentivo, che dovrà essere “selettivo e non generalizzato”.

3. Ho contato almeno tre tipologie di formazione che si accavallano:

a) quella obbligatoria permanente e strutturale della legge 107;

b) quella obbligatoria sulle competenze digitali da svolgere in orario di lavoro e retribuita in modo forfetario a valere sul Mof;

c) quella obbligatoria per i neoassunti e volontaria per gli altri, da incentivare con queste nuove risorse non specificate.

4. Non è chiaro il meccanismo di valutazione dei percorsi incentivati, in particolare quanto sarà lasciato all’autonomia delle singole scuole, quanto dipenderà da parametri oggettivi e quanto sarà definito in contrattazione.

5. Non sembrano esserci, al momento, risorse nuove, ma solo fondi già nelle disponibilità del ministero o del Pnrr, che però sono limitate nel tempo.

Rimuovendo queste criticità e con gli interventi su formazione e selezione richiamati poco sopra, pressoché tutti collegati alla delicata fase di implementazione, i rischi di fallimento sarebbero sicuramente ridotti. Conosco la principale obiezione a molte delle proposte che ho appena avanzato: ci siamo impegnati con la Commissione europea ad assumere 70mila docenti entro il 2024 e vogliamo garantire concorsi annuali. Non sempre però la via più rapida per raggiungere una meta è la scorciatoia, ce lo confermano gli esiti degli ultimi concorsi a crocette e tutte le scorciatoie ipotizzate nel passato recente o remoto. Ma anche fosse, sarei proprio curioso di sapere se a Bruxelles sanno che si vuole privilegiare in modo così palese la quantità, magari a scapito della qualità.

In conclusione, la scuola, percorso educativo fatto per i ragazzi, ha bisogno di insegnanti bravi e motivati, ben formati e selezionati, adeguatamente retribuiti e valorizzati, anche attraverso un’effettiva crescita professionale. Le novità timidamente introdotte per premiare il merito e iniziare a differenziare i salari non solo per anzianità vanno però messe al riparo da una loro implementazione solo burocratica, che ne tradirebbero lo spirito fortemente innovativo.

Con questo spirito costruttivo e per questi obiettivi Italia viva c’è e ci sarà. In parlamento e nel Paese.

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