Caro direttore,
le scrivo perché ha ragione l’anonimo collega, docente come me alle scuole superiori, quando constata che “sulla maturità si faccia troppa poesia”. Che cosa, dunque, rappresenta oggi l’esame di Stato se non un folcloristico passaggio iniziatico per il passaggio all’età “(quasi) adulta”? Così vene chiamata quella fascia anagrafico-socio-culturale della generazione dei neo-ventenni, ovvero gli “young adult”. Il mittente della missiva è (stato) commissario esterno alla maturità e nota che le ultime generazioni sono poco avvezze all’uso del corsivo nella redazione del tema di italiano. Ma dobbiamo renderci conto che i tempi mutano e pure le usanze: o tempora, o mores! L’incapacità di scrivere rispecchia l’incapacità di pensare in maniera articolata, di afferrare e mettere nero su bianco la complessità della realtà così come viene proposta dalle tracce ministeriali. È la stessa conoscenza che si è talmente “democratizzata” da essere alla portata di tutti, ma proprio di tutti, non più veicolata e trasmessa attraverso la scuola, una istituzione più che millenaria, ma attraverso il web, a uso e consumo di ogni utente. La scuola, dunque, ha smarrito il suo compito e la sua missione, nella società liquida del villaggio globale; dobbiamo dunque interrogarci, ma non troppo.



Ancora: “Arrivati a 19 anni dovrebbero essere assodate le cosiddette competenze di base: scrivere, leggere e comprendere un testo, orientarsi nello spazio e nel tempo, fare di conto e formalizzare problemi, esprimersi in una lingua straniera”. E perché non è così? Se si rivolge l’attenzione all’università italiana, che sta sperimentando l’inusuale fenomeno sociologico della “liceizzazione”, si constata che essa ha la possibilità di poter svolgere una verifica delle conoscenze iniziali dello studente: se dunque dalla verifica emergono “lacune”, allo studente vengono attribuiti gli Ofa (Obblighi formativi aggiuntivi), ovvero attività supplementari come corsi e seminari da assolvere nei modi e nei tempi indicati da ciascun corso di studio. Dunque, a vedere la realtà delle matricole degli ultimi anni, si continua a rimandare il problema delle “scompetenze” della lingua italiana fino all’università, dove ci si organizza con corsi di recupero per mettere delle pezze a quanto lo studente italiano non ha saputo costruire e consolidare nel percorso di 13 (tredici) anni di scuola



Ci vuole un cambio di rotta, perché è evidente che “l’egemonia culturale della sinistra nelle scuole ha reso, paradossalmente, il sapere un genere di consumo al punto tale che, per istruire tutti, arriviamo a non insegnare più niente a nessuno”, come scrive il collega. Si tratta, però, di una semplificazione ideologizzante, perché la complessità del mondo in cui viviamo crea, nei fatti, una miscela esplosiva, quando si unisce alle pseudo-riforme della scuola all’italiana. Insomma, la lettera del collega prende atto della realtà, e dimostra il senso comune di noi docenti, ma con il quasi dichiarato obiettivo di tirarsi la zappa sui piedi da solo! “Le dirò una cosa, che poi è il motivo per cui le scrivo in forma pseudoepigrafa: lei lo sa, vero, che un docente delle superiori, che non ha la maturità, da metà giugno a metà luglio, quando va in ferie, non fa niente?”.



Ma chi insegna seriamente, nonostante tutto (potrei iniziare un elenco…), ha la magra “consolazione” di avere vacanze lunghe per ricaricare le pile, una sorta di “benefit” della categoria docente, come nel resto d’Europa. Lo scorso anno scolastico, nel liceo pubblico dove insegno, ho voluto fare domanda per il bonus, in quanto mi ero veramente fatto in quattro: me lo meritavo. Vediamo quale motivazione menziona la dirigente nel decreto protocollato di attribuzione: “per aver espletato azioni continue nel corso dell’anno scolastico caratterizzate da un valore aggiunto, rispetto alla quotidiana attività professionale esercitata con diligenza cura e pieno adempimento dei doveri”.

E sa, direttore, a quanto ammonta il “contentino” elargito dallo Stato a me come ad altri colleghi forse più meritevoli di me? Euro 350,00 lordo dipendente. Mi chiedo se valga la pena che io continui a fare il mio lavoro così come si legge nel decreto. Sicuramente sì, perché mi piace e lo faccio per alunne e alunni. Certo che se avessi qualche soldino in più potrei fare della vacanze più lunghe al mare, dato che lo stipendio me lo sudo. Alla fine della fiera, il mondo va così: la maturità è il prodotto della scuola, fatta prima dalla responsabilità e del lavoro dei docenti (nonostante tutto), e poi dalle inadempienze e dalle fragilità della scuola-istituzione. Per il resto, c’è tutta l’estate per pensarci. C’è chi lo ha già fatto, mettendolo nero su bianco, in pieno anonimato.

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