Dal momento che ormai tutti parlano di scuola, con o senza esperienza, oscillando tra l’inutile e il rumore di fondo, tra il tentativo disperato di farsi propaganda e il “ma non era meglio tacere?”, ho pensato che in fondo anche io potevo unirmi al carrozzone delle chiacchiere.
E allora propongo per l’occasione la mia esperienza, senza alcuna pretesa di verità ma con un grande carico di dubbi, non tanto sulla riapertura delle scuole quanto sulla scuola che verrà. Nel tentativo estremo di riaprire la scuola, rinunciando a ferie, sonno, famiglia e infine a me stesso, tra carte, planimetrie, bandi dell’ultimo minuto con scadenza al giorno dopo, rilevazioni, monitoraggi, richieste di progetti didattici per il rientro e conseguente definizione delle necessità (di banchi, sedie, personale, sussidi, connettività, device, ecc., tutte cose di primaria importanza da risolvere nel tempo di un pasto saltato) ho cominciato a correre più del solito.
Mi sono detto: è giusto, occorre dare una risposta al paese, riportare i ragazzi al loro sistema di relazioni umane e educative (in fondo gli è rimasta solo la scuola! Gli altri sono impegnati in altre faccende). È urgente, siamo in emergenza. E questa idea di “emergenza” mi sembrava giustificasse tutto. A un certo punto ho cominciato a intravedere la luce o quantomeno ho creduto di aver arredato decorosamente il tunnel in cui ero finito: i ragazzi riesco a riportarli tutti in presenza, l’impianto didattico non è indebolito, anche i docenti più anziani hanno imparato a gestire il digitale, ho tablet e connettività, ho liberato gli spazi da rifiuti accumulati e oggetti obsoleti, sto per rifare i bagni, le porte sfondate e rattoppate con nastro adesivo, che se ci inciampi perdi un braccio, potranno essere sostituite, le stanze del mistero, quelle chiuse da sempre e in cui mai nessuno ha osato entrare (anche perché le serrature delle porte erano rotte) hanno rivelato l’esistenza di ambienti dal grande potenziale.
Incredibile! Non scorreranno più gli sciacquoni e avrò i rubinetti funzionanti grazie ad un finanziamento che finalmente mi ha consentito di attuare lavori di manutenzione senza dipendere dall’ente locale. È stato necessario un grande sacrificio, ci hanno chiesto tanto ma ci hanno anche dato delle possibilità e i tempi non potevano essere comodi.
Ci tengo a sottolineare che l’accumulo di cose non fatte ritengo non sia addebitabile a me. Non è che sia stato fermo negli anni precedenti, piuttosto posso dire di aver trasformato gli edifici storici (e di straordinaria bellezza) che gestisco, ridotti a ruderi postbellici, in ambienti accoglienti e funzionali. Con “Scuole Belle” ho potuto usufruire di importanti fondi che, lungi dall’essere assegnati direttamente alle scuole, autonome solo all’occorrenza, sono stati appaltati a ditte che ci hanno anche denunciato per i ritardi sui pagamenti, determinati a loro volta dai ritardi nell’accreditamento dei fondi dal ministero alle scuole. Spesso gli operai erano carichi di buona volontà, da architetto ho anche avuto modo di spiegare loro alcuni accorgimenti nella posa in opera dei materiali o sulle finiture. Peccato che questi, a cui nessuna colpa può essere addebitata, non avessero grande esperienza, forse anche nessuna, nell’esecuzione dei lavori che erano chiamati a svolgere. Di conseguenza oggi, a distanza di circa un anno, gli intonaci delle facciate, un tempo cadenti, stanno tornando a cadere, i pavimenti si stanno staccando, si sta rigenerando quell’atmosfera decadente così affascinante, un richiamo romantico al concetto di rudere, una possibile proposta per un nuovo “Grand Tour” tra nuova e vecchia archeologia. Adesso cercherò di sistemare le porte, poi, con i fondi della prossima emergenza, renderò nuovamente decorosi i muri!
Dunque, dicevo, mi sembrava di aver risolto tanto, di poter passare ai protocolli di sicurezza, ai nuovi regolamenti, i banchi prima o poi arriveranno, qualche adesivo lungo i percorsi come segnaletica e via! Non ho dovuto smantellare quasi nessun laboratorio ma, purtroppo, non ho potuto immaginare, come mia abitudine, arredi e spazi come se fossero un terzo educatore. Siamo in emergenza lo so, la priorità è un’altra, occorre ripartire.
Tutto sommato il risultato sembra credibile e, ho pensato, posso mettermi in fila tra i dirigenti bravissimi che hanno risolto tutto o quasi, o forse!
All’improvviso, stanco, mi sono fermato un attimo. Non l’avessi mai fatto!
Mi sono guardato intorno, e purtroppo anche dentro, e sono sprofondato in un pozzo di dubbi. Tutto il rumore si è trasformato in un silenzio angosciante.
Mi sono tornate in mente le parole di Marco Lodoli ne Il Preside: “Conosco ogni spazio, ogni aula, gli sgabuzzini per le scope e i detersivi, le stanze chiuse da sempre, gli avvolgibili crollati, gli scalini sbreccati, i banchi che traballano, le luci del mattino e quelle dei neon, il frastuono delle ricreazioni e il silenzio della sera”. –
Mi sono chiesto perché e quando le scuole si sono ridotte così. Perché mi ritrovo solo, con un paio di collaboratori stacanovisti, idealisti e sognatori che mi sembrano ormai due zombie – me ne assumo la responsabilità, li ho ridotti io in questo stato. Se continuiamo così dovrò provvedere con un busto alla memoria. Per me non c’è bisogno, fate opere di bene! –, unico responsabile di tutto, ondeggiando tra la realtà e il sogno, tra l’ineluttabilità di quello che ci aspetta e il peso di quelle che erano le mie visioni del futuro accantonate, un tempo ali per volare ora zavorre.
La scuola, fragile mondo in miniatura, non è soltanto una fabbrica del futuro ma molto di più: “un tempio sacro in cui avvicinarsi al mistero della vita prima che la maturità cancelli ogni verità”.
Se leggi libri poi ti tornano alla mente certe frasi, certe idee malsane e così mi sono chiesto: ho inserito questo concetto del tempio sacro nel mio atto di indirizzo? Potrò portarlo in delibera, nel Rav, nel Pdm, nella Dad, nella Ddi, nel Ptof, nelle griglie di valutazione? Cosa ne penseranno Rspp, medico competente, medico di base, Asl e i sindacati? Cosa ne penseranno i sindacati?
Dovrò convocare Rsu, Rls, inserire i rischi da sogni infranti nel Dvr, e se faccio entrare qualche idea dall’esterno a scuola chi mi firma il Duvri?
Insomma, per non divagare troppo, quando avrò finito i lavori avrò qualche scalino sbrecciato in meno, qualche muro abbattuto, di certo qualche banco nuovo, gli avvolgibili ancora crollati come crollata è anche l’idea di avere un’idea di scuola.
Forse il problema è tenere tutto insieme e seguire ogni processo in scuole in cui sono assembrati da tempo indirizzi di studio, plessi, ordini, numeri enormi di studenti, perché senza i numeri non si va lontano! Senza i numeri sono ridotti i fondi, il personale, la credibilità, in casi estremi non c’è neanche un dirigente o un direttore amministrativo. Dunque da anni nelle scuole si fa ogni tipo di assembramento!
Forse il problema è che le scuole non hanno fondi per la manutenzione, che viene delegata agli enti locali, che la subappaltano ad imprese varie che magari vengono, tappano un buco e non rifanno l’intonaco perché tanto è una scuola e in fondo ci sono i nostri figli dentro.
Ora, al di là della mia fin troppo facile ironia, occorre fermarsi un attimo e riflettere perché non si può perdurare negli errori. La “Scuola al Centro” sempre, per ogni governo, con grandi investimenti, ognuno che arriva deve dire la sua e mettere un bollino, fare una legge, introdurre una novità, lasciare un segno, alcune volte purtroppo indelebile!
E gli investimenti ci sono stati e ci sono ancora, dunque non è un problema di soldi.
Grandi piani di assunzioni, che portano sempre voti (se non ti affidi a un algoritmo), digitalizzazione a oltranza, con studenti che sanno già utilizzare benissimo le tecnologie ma non hanno ancora capito cosa farsene, formazione lungo tutto l’arco di una vita che troppo spesso sprechiamo.
Il più grande dei dubbi è allora che alla scuola serva progettualità non sussidi!
Da quanto tempo al Paese manca una guida che abbia il coraggio delle scelte?
Accorgerci ora che le strutture delle scuole sono le stesse di trent’anni fa, gli spazi inadeguati e a volte fatiscenti, che il personale non è formato a gestire il cambiamento, che manca la governance con figure di supporto intermedie per gestire un’emergenza (ma anche sull’ordinario non siamo messi benissimo) e una ripartizione ragionevole delle responsabilità, che la precarietà dei lavoratori è destabilizzante e non permette di costruire né sul breve, né sul medio e lungo periodo, è il prezzo che stiamo pagando per essere stati disattenti, per non aver preteso una guida vera.
Il problema è come mai siamo arrivati a dover affrontare in questo modo l’emergenza, perché non ci siamo occupati di creare le condizioni e le strutture per gestire il futuro.
Ho il sospetto che abbia fatto più danni l’inefficienza del Covid.
La pandemia ha solo gridato che il Re è nudo. Sanità e scuole hanno mostrato tutta la loro inadeguatezza. Non si tratta di problemi creati dal virus ma svelati dal virus.
Il sistema di istruzione nel nostro paese è diventato il regno dell’impossibile, fare qualcosa richiede lo sforzo di smuovere una montagna, fatta di burocrazia, di complicazioni organizzative e gestionali, di capri espiatori per cui, se decidi di cambiare qualcosa, di introdurre un’innovazione, di muoverti dall’ordinario, devi chiederti se riuscirai ad evitare il tribunale o almeno la gogna pubblica. Leggi e contro-leggi, ambiguità normative, un sistema di gestione scolastica che fa un passo avanti e uno indietro. Nella fitta rete del sistema, per capire chi deve decidere cosa fare e se è possibile farlo, occorre affidarsi ad una sfera di cristallo. Per non parlare delle belle parole riservate al corpo docente, adesso anche etichettato come coacervo di furbetti pronti a sottrarsi al rientro, certificato alla mano. I furbetti non mancano, sono ovunque direi, ma la gran parte dei docenti che conosco io non vede l’ora di ritornare in classe, fuori dalla classe, sotto un albero e magari pure sotto un ponte ma con i propri studenti. Nella scuola che dirigo molti sono anziani, alcuni hanno varie patologie, sono esseri umani, hanno semplicemente paura. Molti mi hanno detto di voler rientrare a qualunque costo e se dovesse succedere qualcosa sarà successo facendo ciò che amano di più.
Il problema, voglio dirlo soprattutto ai “distrattori” seriali, non va cercato qui. Evitiamo la caccia alle streghe, il populismo, la demagogia, il livore ed evitiamo di montare odio. Ce n’è già troppo.
Concentriamoci invece sui problemi reali.
Intanto ho una certezza: l’istruzione, superata questa fase, non verrà diffusa via internet!
I ragazzi hanno bisogno di imparare ma anche di un sistema di relazioni, di ridere, di capire leggendo le espressioni e del contatto con l’altro. Hanno bisogno di mettere in campo i sensi.
Non preoccupiamoci della didattica a distanza in questo periodo. La rete digitale ha reso possibile la connessione là dove non vi è stata possibilità di incontro e ha così confermato la sua utilità. Ma, come osserva Galimberti, per come ha funzionato fino a ora, Internet ha anche isolato i nostri corpi. Ragioniamo su questo prima ancora di comprare tablet. Il divario non riguarda solo la copertura di rete ma, soprattutto, la consapevolezza dei benefici e dei pericoli del digitale. L’accelerazione digitale rappresenta una grande opportunità se finalizzata alla costruzione di ponti e di scambi, diventando complemento del contatto umano.
Ridiamo dignità ai luoghi perché siano da stimolo ai ragazzi, promuovendo il benessere come prevenzione per i soggetti a rischio e come cura nell’adolescenza. Selezioniamo con consapevolezza i docenti che hanno il compito di educare i giovani alla convivenza democratica. L’assunzione di nuove leve nell’insegnamento è fondamentale. Se verrà fatta male sarà un disastro, perché senza il contributo di una scuola pubblica eccellente diventeremo inesorabilmente un paese arretrato. Evitiamo assunzioni alla chetichella o con bandi che richiedono competenze vecchie. Lo sottolinea, in una sua intervista, Fabrizio Barca. “Serve che i giovani siano selezionati bene e che non siano abbandonati a se stessi appena entrano nella pubblica amministrazione. Inoltre occorre dar peso alle competenze organizzative e non solo a quelle disciplinari. È importante affrontare il tema della povertà educativa con un approccio territoriale, senza lasciare sola la scuola e coinvolgendo famiglie, le imprese del territorio, le organizzazioni di cittadinanza attiva e le associazioni. Parliamo anche della piccola impresa, che è un pezzo fondamentale nel nostro Paese e ha quell’imprenditorialità istintiva che è nello spirito e nelle ossa dei nostri territori. Spesso manca la conoscenza e per compiere il necessario salto tecnologico occorre trasferire conoscenze, bisogna riconoscere un ruolo alle scuole che lavorano in questo senso. Serve cambiare e, senza inventarsi da Roma cosa è giusto, occorre riconoscere e valorizzare ciò che avviene sui territori”.
Non bisogna screditare lo Stato, indebolirlo, siamo tutti noi invece che dobbiamo pretendere dai nostri interlocutori politici la forza delle scelte oltre gli interessi individualistici. Dobbiamo superare questa condizione divisiva, siamo la società dell’egoismo. La politica non deve inseguire gli umori né la pancia degli elettori, questo approccio genera diseguaglianze. Erogando sussidi di vario genere, per riparare i danni e per tenere buona la gente, si blocca il processo di crescita democratica del nostro paese. Bisogna invece definire le priorità, tenendo fermi i principi fondamentali ma garantendo possibilità e autonomia all’azione territoriale.
Nel caso delle scuole potrebbe essere questo, finalmente, il momento di ridisegnare la governance, riconoscere la progressione di carriera del personale e assegnare un’autonomia reale di scelta con un potere di spesa effettivo e non con continui sussidi, occasionali, sporadici e raramente calati sulle reali necessità di contesto. “Quest’approccio non è localista, perché mette in relazione i saperi locali con quelli dei grandi centri di competenza, imprese pubbliche e private, scuole, università, determinando una piattaforma di dialogo tra pari”.
Servono interventi a favore dei giovani che sono il nostro futuro e la nostra speranza di cambiamento. Per citare Draghi “il miglior modo per ritrovare la direzione del presente è disegnarne il futuro”. Nella nostra Costituzione la scuola promuovere la libertà di pieno sviluppo della persona umana, è la base di costruzione del futuro di una nazione, genera uguaglianza e dunque è un tema prioritario (ovviamente lo dicono tutti ma se le scuole cadono a pezzi, soprattutto in certi territori, forse c’è qualcosa da rivedere) sapendo che “non è lo sviluppo a produrre uguaglianza ma è l’uguaglianza che genera sviluppo”.
Detto questo, tranquilli, le scuole ripartiranno perché chi lavora nelle scuole ogni giorno lo vuole fermamente!