Gaia ha dodici anni e gli occhi chiari. Sua mamma mi ha confidato che l’altro giorno, per la prima volta, ha visto la figlia davanti al calendario mentre faceva il conto alla rovescia per la fine dell’anno scolastico: -35. Ed è strano, perché la scuola le è sempre piaciuta, le piace ancora, e tutto procede liscio. Da dov’è sbucato allora questo conto alla rovescia?
La ragazza comincia a fare i calcoli. E così s’avvia a somigliare ai grandi, a ridurre lo scarto che la distingue da loro, e che è poi quel che c’è di più interessante nei piccoli: la differenza di potenziale tra la loro voglia di vivere e la fretta di finire degli adulti.
Tu non lo sai come sono, loro, nella tua innocenza non sai cosa rischi. Farai il conto alla rovescia della settimana, non vedendo l’ora che arrivi il sabato, mentre adesso per te ogni giorno è pieno: li sentirai vuoti, i martedì, i giovedì qualsiasi, e t’illuderai di riempirli riempiendo un bicchiere. Alla maturità farai il conto alla rovescia per gli esami, e guai se tu non celebrassi i 100 giorni come il protocollo di ogni buon maturando prescrive: parresti una disadattata, pronta la visita dallo psicologo. All’università avrai l’ansia di toglierti davanti gli esami, e quando avrai un lavoro farai il conto alla rovescia per le ferie. Vorrai finire, insomma, anziché cominciare. Mentre l’uomo è fatto per iniziare – ed è egli stesso un “initium”, come hanno scritto Agostino e Hannah Arendt (“Initium ergo ut esset, creatus est homo”) – sentirai questo atroce risucchio del nulla.
È la china che ha raccontato Dino Buzzati nel XXV capitolo del Deserto dei Tartari:
“Drogo si ostina nell’illusione che l’importante sia ancora da cominciare. […] Eppure un giorno si è accorto che […] negli ultimi mesi (chissà da quanto esattamente?) non faceva più le scale di corsa a due a due. Sciocchezze, ha pensato, fisicamente si sentiva sempre lo stesso, tutto stava a ricominciare, non c’era neppure dubbio; una prova sarebbe stata ridicolmente superflua.
No, fisicamente Drogo non è peggiorato, se riprendesse a cavalcare e a correre su per le scale sarebbe benissimo capace, ma non è questo che importa. Il grave è che lui non ne sente più voglia, che lui preferisce dopo colazione starsene a sonnecchiare al sole piuttosto che scorazzare su e giù per la spianata sassosa. È questo che conta, solo questo registra gli anni passati.
Oh, se ci avesse pensato, la prima volta che fece le scale un gradino alla volta! Si sentiva un po’ stanco, è vero, aveva un cerchio alla testa e nessun desiderio della solita partita a carte (anche in precedenza del resto aveva qualche volta rinunciato a salire le scale di corsa per via di malesseri occasionali). Non gli venne il più lontano dubbio che quella sera fosse molto triste per lui, che su quei gradini, in quell’ora precisa, terminasse la sua giovinezza, che il giorno dopo, per nessuna speciale ragione, non sarebbe più ritornato al vecchio sistema, e neppure dopodomani, né più tardi, né mai”.
Per Gaia quell’innocuo sguardo al calendario è un punto di non ritorno al pari degli scalini di Drogo: adesso tutto procede normale, esteriormente non si dà a vedere alcuna rivoluzione: i compiti diligentemente svolti, i voti senz’altro alti. Argo nei suoi numeri non contempla gli improvvisi smarrimenti del cuore, questo “scordato strumento”, come lo chiamava Montale. La salvezza dei suoi occhi chiari e del suo cuore in attesa non saranno neanche lontanamente in discussione nei consigli di classe, e neanche nei colloqui periodici in cui ne elogeranno il cervello e l’impegno; questa crepa nascosta sarà fuori dai radar delle coscienziose ore di lezione degli insegnanti come degli appassionati incoraggiamenti degli allenatori e della generosa dedizione delle catechiste.
Il “nichilismo gaio” degli adulti, velato da un alone di rimpianto per l’età che non può tornare, continuerà intanto ad avvelenare i pozzi, invitandoti a godere dei “migliori anni della nostra vita” come si comanda ai ragazzi ben integrati. Ciascuno concorrerà a farla entrare nel mondo degli adulti, a renderla perfetto meccanismo dell’ingranaggio. La maestra delle elementari può averle lasciato in eredità buone basi di italiano, ma la passione per le cose è una fiamma che non rimane accesa grazie alle basi di curiosità naturale, o al buon lavoro degli anni prima e nemmeno del giorno prima, perché il mondo butta secchiate d’acqua sui fuochi dell’infanzia. È la voglia di lunedì la caratteristica fondamentale degli insegnanti che meriti, è su quest’unica domanda che andrebbero selezionati i docenti: non vede l’ora che arrivi il lunedì oppure che arrivi il sabato?
Ti daranno compiti in cui mai una volta ci sarà davvero bisogno di capire, di pensare: si tratterà sempre e solo di memorizzare, al più di applicare o di googlare. Guai se ti permetterai di esistere anziché di funzionare. Se avrai un 4 smuoveranno le montagne; se invece non avrai voglia di alzarti dal letto, nessuno batterà ciglio: “anch’io, cosa credi, che quando vado al lavoro abbia tutta questa voglia?”. In questi anni mi è capitato di parlare con tante mamme legittimamente preoccupate perché il figlio non usciva la sera “come gli altri”, ma neanche una volta con una mamma preoccupata perché il figlio la sera si ubriaca.
Pasolini la chiamerebbe “ansia di normalità”, “volontà non solo di non apparire diversi ma nemmeno appena distinti. […] Tutti sono bravi: e dunque tutti hanno la loro brava faccia infelice. Essere bravi è il primo comandamento del potere dei consumi (nel cui universo mentale e di comportamento tu, povero Gennariello, sei nato): bravi cioè per essere felici (edonismo del consumatore). Il risultato è che la felicità è tutta completamente falsa: mentre si diffonde sempre di più una immediata infelicità”. Ed “ecco che essi ti insegnano a non splendere. E tu splendi, invece”, amica mia.
Ti aspetta la normalità: comunione, cresima, liceo, patente, test d’ingresso. Sarai una delle tante maturande che si affacciano al liceo con gli occhi pieni di curiosità, coccolate di voti ed elogi, di serate e viaggetti, e ne escono cinque anni dopo con gli occhi spenti ma a un passo da qualche bella facoltà, pronta per un futuro radioso, da buona borghese sistemata. “Tutti nascono come originali, ma molti muoiono come fotocopie”, scriveva sul diario un ragazzo poco più grande di te, Carlo Acutis. Guarderanno la scultura finita con soddisfazione. È venuta su bene, proprio bene, diranno. “Sono riusciti a cambiarci, ci son riusciti, lo sai”, ti canterebbe Fabrizio De André. Ma per questa voglia di vivere bombardata, per questo cuore che non merita conti alla rovescia, chi trema stamattina, entrando in classe?
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