Nella IV delle Elegie romane Goethe chiama Göttin, “dea”, l’Occasione, in tedesco Gelegenheit, esortando gli uomini a conoscerla. Occasione viene dal latino occasio, letteralmente “avvenimento”, “circostanza” che rende possibile l’avverarsi di un fatto; in greco è kairos, tempo opportuno, favorevole, tempo di grazia. I grandi libri sono spesso figli dell’occasione. È sufficiente pensare, a mo’ di esempio, al capolavoro di Pascoli, Il gelsomino notturno, scritto in occasione delle nozze di un amico; laddove imperversano ospiti avvinazzati e distratti, lo sguardo del poeta coglie verità universali. Nessuna grande opera può essere premeditata a tavolino: è qualcosa che accade e occorre afferrata al volo perché, come dice ancora Goethe, la dea ama donarsi “all’uomo rapido, attivo”. In questo senso, gli anniversari sono un’occasione per ridestare la nostra attenzione su fatti e personaggi che corriamo il rischio di dimenticare.
Fra questi, di primaria importanza per chi ama la letteratura, è il centenario della morte di Franz Kafka, morto nel giugno del 1924, non ancora quarantunenne. In vita, Kafka pubblicò La metamorfosi e pochi altri racconti; nel testamento, chiese all’amico Max Brod di bruciare tutti i suoi manoscritti, tra i quali Il processo e Il castello, libri considerati oggi irrinunciabili. Il fascino di questo scrittore cresce di anno in anno e la bibliografia critica su di lui ha assunto proporzioni gigantesche.
Il Liceo statale “Carlo Montanari” (all’auditorium Palazzo della Granguardia) ha pensato di onorare la memoria di Kafka con un’intera giornata a lui dedicata il prossimo 3 dicembre a Verona; al mattino con delle relazioni tenute da insegnanti delle superiori sulla sua opera (in particolare Il processo e Le lettere a Milena) rivolte ai maturandi; al pomeriggio con un concerto sulla Musica del Novecento nel circolo di Praga, protagonisti docenti e allievi del Liceo musicale; infine con uno spettacolo serale intitolato L’uomo di vetro, curato dal Laboratorio teatrale della scuola, con musiche e letture tratte dalle opere dello scrittore. Il tutto lontano da accademie e retoriche celebrative, con l’unico intento di far conoscere ai giovani in modo accattivante l’immenso patrimonio lasciatoci da Kafka, magari depurandolo da luoghi comuni inveterati, come l’aggettivo kafkiano, che fa torto, oltretutto, allo scrittore, che consacrò tutta la vita alla rigorosa ricerca della verità, contro fumisterie ed enigmi di cui abbondano i suoi troppi imitatori.
Proprio la ricerca della verità può interessare oggi giovani e adulti. In una delle sue meravigliose lettere indirizzate alla donna più importante della sua vita, Milena Jesenská, Kafka scrisse: “Io cerco sempre di comunicare qualcosa di non comunicabile, di spiegare qualcosa di inspiegabile, di parlare di ciò che ho nelle ossa e che soltanto in queste ossa può essere vissuto”. Ho deciso di intitolare così il mio intervento sulla scia di uno spunto offerto da una mia allieva, la quale in un tema aveva citato proprio questa folgorante osservazione dello scrittore praghese come esempio della difficoltà ed insieme della necessità irrinunciabile di esprimere sé stessi.
In Kafka, come in tanti giovani, c’è una forza trattenuta ed inesplicabile, una voce alla ricerca di un “fraterno cuore”, direbbe Montale. Se è vero, come scriveva Seneca, che insegnare vuol dire imparare continuamente, ho pensato che quella studentessa, in una mattina qualsiasi di scuola, avesse colto l’occasione di raccontare qualcosa di importante di sé, attraverso la mediazione di un grande scrittore morto cent’anni prima e che io dovevo cogliere l’occasione perché, attraverso quella ragazza, Kafka mi toccava e io avevo la possibilità di raggiungere altre persone. Quella verità che Kafka aveva inseguito per tutta la vita in qualche modo era stata raggiunta.
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