I giovani sono la grande risorsa del Mezzogiorno e, al tempo stesso, ne rappresentano il dramma. Essi, infatti, potrebbero essere messi nelle condizioni di generare valore per i territori, ma sono invece normalmente trascurati e abbandonati al loro destino e, spesso, costretti a emigrare.
Lo documentano sia la recente indagine di Save the children sulla povertà educativa in Italia che vede il triste primato di Sicilia e Campania, sia il rapporto sulla città metropolitana di Catania redatto dallo Scenario Sud di The European House-Ambrosetti che indica l’area etnea al primo posto in Italia per la dispersione scolastica. Le immagini di questi giorni delle scuole siciliane con i tetti scoperchiati dal maltempo e le travi abbattutesi sui banchi sono anche il simbolo di una trascuratezza del tema dell’istruzione: non a caso il 70% degli edifici scolastici nel Catanese non è a norma.
L’esempio di Catania può essere paradigmatico di situazioni analoghe in tutto in Mezzogiorno.
Nell’area metropolitana etnea la disattenzione alle giovani generazioni si misura anzitutto con un dato: il tasso di dispersione scolastica in periodo di Covid è salito al 25,2%, quasi il doppio della media italiana e il quadruplo del dato di Firenze. Ciò significa che migliaia di ragazzi, risorsa potenziale dello sviluppo del territorio, vengono dimenticati e, indirettamente, offerti su un piatto d’argento alle attività della malavita locale.
Altro dato allarmante è quello dei giovani che non studiano e non lavorano, i Neet: a Catania la percentuale è arrivata al 36,9% e in Sicilia ci sono zone in cui essa supera il 40%.
Ma come possono ripartire la Sicilia e il Sud, valorizzando soprattutto i giovani? Anzitutto, si potrebbe rispondere, riscoprendo una visione che guidi lo sviluppo. Cetti Lauteta, responsabile di Scenario Sud di The European House-Ambrosetti, suggerisce giustamente di puntare sulla vocazione mediterranea di questi territori. La geografia fa della Sicilia la porta d’Europa per i popoli del Sud del Mare Nostrum. Ma questo dato noi al momento lo sperimentiamo vero solo per i migranti che arrivano sulle nostre coste, mentre invece assistiamo impotenti al fatto che gli studenti universitari del Sud del mondo vadano a compiere o perfezionare i loro studi a Milano o Parigi piuttosto che a Catania o Napoli o Bari.
In secondo luogo, dobbiamo aprire gli occhi sulle buone pratiche già presenti al Sud e valorizzarle.
A Catania, per tornare all’area metropolitana di cui abbiamo i dati più recenti, solo l’8% di bambini fra 0-2 anni può godere di un asilo nido pubblico (contro il 25% della media nazionale) e, addirittura, il Municipio in dissesto non riesce più a pagare gli stipendi degli operatori delle scuole dell’infanzia comunali. Ma in una situazione del genere accade che una Fondazione educativa (la “Francesco Ventorino”) accetti di gestire un asilo comunale in un quartiere a rischio (la scuola d’infanzia “Mammola” a San Giovanni Galermo), facendosi carico delle spese e lasciando gratuito il servizio per le 40 famiglie che ne usufruiscono. A Catania, come detto, c’è una dispersione scolastica da record, ma ci sono anche associazioni di volontariato che, senza aiuti dal pubblico, aiutano le famiglie in difficoltà e i minori in deficit educativo. Come non tenere conto di queste risorse, quando pensiamo a piani di sviluppo del territorio?
La situazione finanziaria dei comuni e delle regioni del Sud è nota. Ma in questa fase di ripresa, con l’arrivo dei fondi del Pnrr, del Fondo sociale europeo, dei Fondi europei per lo sviluppo regionale occorre operare scelte in base agli obiettivi ritenuti prioritari. Finora abbiamo pensato che lo sviluppo potesse venire dall’insediamento delle grandi industrie (da quelle petrolifere a quelle hi-tech). È venuto il momento di modificare l’obiettivo, mettendo al primo posto un grande piano per l’istruzione e la formazione dei giovani del Sud e di dichiarare guerra alla dispersione scolastica. È un fatto che dopo Reggio Calabria, anche Catania si sia dotata di un Osservatorio permanente sulla dispersione scolastica che vede al lavoro, col coordinamento della prefettura, il tribunale per i minorenni, le forze dell’ordine, le scuole, le diocesi e le organizzazioni di volontariato.
Solo da questa priorità può partire un nuovo sviluppo del Mezzogiorno. Senza dimenticare che mettere al primo posto l’istruzione e la formazione significa anche prendersi cura dei giovani, delle loro domande, dei loro problemi fino a quelli economici e sociali. Molti docenti che cominciano ad operare in questa direzione offrono già esempi positivi di quali risultati si possano trarre da studenti, anche di famiglie disagiate, che vengono presi in cura come persone e non come semplici numeri.
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