C’era una volta la gita di classe, occasione per molti di mettere per la prima volta il naso fuori da casa. La meta era quasi sempre una città d’arte e allora le visite ai musei non si contavano. Non era obbligatorio andarci, anche se veniva vissuta come un premio all’impegno mostrato fra i banchi: a volte stavano a casa (o, meglio, in classe) coloro che provenivano da famiglie in difficoltà economica (ma spesso la scuola interveniva pagando almeno in parte la spesa), altre volte chi proprio non era interessato al programma proposto (e di solito non eccelleva nei voti).



I docenti accompagnatori premevano perché questi ragazzi ci ripensassero, dal momento che uscire dalla routine scolastica significava cogliere l’opportunità di aprirsi a nuove esperienze, migliorare la socializzazione, a volte manifestare un comportamento diverso – migliore – rispetto a quello tenuto in aula, specialmente da parte degli alunni più insofferenti alla disciplina. Le famiglie non intervenivano nelle scelte del consiglio di classe perché riconoscevano il ruolo educativo degli insegnanti.



Oggi che quel mondo, per certi versi sin troppo rigido, è stato ribaltato e vede i genitori intromettersi in ogni aspetto della vita scolastica, capitano fatti come quello delle scuole medie di primo grado della provincia di Lucca (eravamo a gennaio) e di Torino (pochi giorni fa): alcuni allievi sono stati lasciati a casa partendo dal principio – quasi sempre interconnesso – del merito e del comportamento. Nel primo caso è stato escluso un solo alunno che aveva mostrato un comportamento irrispettoso delle regole: “Non è conseguenza di una sanzione disciplinare, ma di una unanime riflessione prudente e responsabile del consiglio di classe. Tale possibilità era espressamente prevista nel patto di corresponsabilità: ‘La partecipazione alle uscite didattiche e alle visite di istruzione è subordinata al comportamento della classe e dei singoli alunni’” aveva motivano il dirigente. Nel secondo caso gli studenti esclusi dalla gita sono stati 7, anche qui pare per motivi sia disciplinari sia didattici, a fronte di un numero di posti disponibili di soli 15. Tanto in Toscana – dove si trattava di una uscita sulla neve – quanto in Piemonte – dove la meta era la redazione di un’emittente radiofonica che aveva imposto il numero chiuso – c’è stata la levata di scudi dei genitori cui nel caso di Torino – e si è trattato di una sorpresa – ha dato man forte il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, parlando di “scelta non condivisibile” perché “il merito non dipende dal voto in pagella”.



Scriviamo di una “sorpresa” in quanto il ministro ha da poco pubblicato La scuola dei talenti in cui sottolinea con forza – e a mio parere anche con equilibrio – che “il facilismo educativo va di pari passo con altri miti sessantottini come il rifiuto dei ‘no’, in particolare in campo educativo”. Tanto più che Valditara ha giustamente preteso che il voto in condotta torni a fare media dei voti. Non è il caso di ingigantire il peso di questi fatti, tuttavia anch’essi rientrano in un deteriorato quadro più generale che lo psicanalista Massimo Recalcati ha così sintetizzato su Repubblica di venerdì scorso: “Ridare valore al mestiere di insegnante è il rimedio migliore al disagio della scuola”. E gli insegnanti, che in veste di accompagnatori alle uscite non ricevono alcuna diaria a fronte di una responsabilità ben maggiore di quella consueta e che non di rado devono fare i conti con la maleducazione dei ragazzi, lo sanno benissimo.

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