L’ 11 e il 12 marzo per oltre mille studenti e docenti di tutta Italia si è svolta la convention finale del Concorso nazionale di filosofia per scuole superiori Romanae Disputationes. “La questione del corpo” era il tema della IX edizione e, durante la due giorni, si è assistito a lezioni magistrali, dispute filosofiche, momenti di approfondimento trasversale e, chiaramente, alle premiazioni. Ecco il racconto di una studentessa.
Ho dedicato gli ultimi cinque anni della mia vita alla ricerca di parole che potessero essere all’altezza di esprimere quello che, secondo la mia personale esperienza, rende grazia a quell’ancora indefinito legame che stringe o costringe corpo ed anima. Mi sono interrogata su come avrei meglio potuto trasmettere ad un lettore la forza e la disperazione che ho incanalato in ogni sorriso e lacrima nella ricerca di un, forse disperso, amore per quello che rende me persona.
Ho calcato pagine fino a renderle colme di sapore, eppure più leggevo e meno mi sentivo appagata, distratta dalla paura che queste potessero essere in qualche modo fraintese, distrutte o ancor peggio ignorate, perdendo così quella voglia di parlare al mondo.
Un giorno, poi, è arrivata la richiesta di partecipare al concorso Romanae Disputationes e per la prima volta dopo due anni ho scelto di prenderne parte, spinta dall’estremo bisogno di farmi sentire, urlando priva di paura tramite parole che, se anche fraintese, erano e sarebbero rimaste sempre mie.
Partecipando alla prima lezione inaugurale del filosofo Carlo Sini mi sono sentita, dal primo istante, travolta da quella tanto travagliata e affascinante “questione del corpo”, nonché tema del concorso, e ho così capito di aver fatto la scelta giusta; era la mia occasione di crescita personale e non avevo intenzione di ignorarla. Procedendo nell’ascolto della parole di Massimo Recalcati è arrivata quell’ultima conferma, avevo bisogno di scrivere per trasmettere e non solo per sentirmi più leggera.
Così ho iniziato questo percorso con le gambe tremolanti, ma la testa alta, una voglia di condivisione ed una sana gelosia di quelli che erano i miei pensieri. Ho partecipato ad incontri, mi sono fatta sentire da persone che non avrei mai pensato potessero capire così nel profondo quella che sono, rispettando in maniera così pura ed innocente quella che è stata la mia esperienza; ho creato legami, mi sono sentita curata da una mano così dolce ed accogliente, capita in ogni decisione e stretta con una forza che sapeva sempre più di comprensione.
Ho sentito in ognuno dei miei compagni e professori una spinta colma di ammirazione, per la prima volta ascoltata; ho ammirato con fierezza persone commuoversi leggendo le mie parole e a mia volta mi sono commossa ospitando i pensieri ed i lavori altrui.
Arrivati, infine, alla conclusione ho festeggiato e gioito godendomi a pieno due giorni che, dopo tempo lontani, hanno permesso a tutti noi di avvicinarci senza timore in un abbraccio che non è, nemmeno per un attimo, mancato di amore. Ho sorriso agli ostacoli stringendo forte la mia rivincita.
Colpita dalla delicatezza con cui ognuno di noi ha accarezzato le difficoltà che la gestione di un corpo può comportare, ho imparato che non solo chi ha sofferto può capire quanto sia difficile convivere “intrappolati” in qualcosa che non ci rende fieri; ho sentito espressa, in ogni sfumatura, la manifestazione di una crescita collettiva.
Ho capito che ogni corpo comprende esperienze che con occhio critico e superficiale non possono, in alcun modo, avere spazio; che ognuno di noi, partendo proprio da me, comprende vittorie e sconfitte che meritano di essere ammirate e non derise, accolte e non allontanate, semplicemente comprese.
Filosofando mano nella mano ho compreso l’importanza di ogni confronto, parola o sorriso, che tendiamo erroneamente di ignorare spaventati da un ipotetico crollo di convinzioni che sembrano appagare, ma limitano il cambiamento consapevole e necessario di ognuno di noi.
Ringrazio me stessa per aver preso coraggio di non aver paura, ringrazio coloro che mi hanno accompagnata e sostenuta, educandomi alla voglia di espressione indipendentemente dal numero e dall’attenzione degli ascoltatori.
Custodisco quella sensazione di aver terminato un capitolo, ma non l’intero libro, travolta dalla voglia di girare pagina e ricominciare a leggere.
(Giulia Delbono, studentessa del Liceo Luzzago di Brescia)
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