C’è un libro che qualche anno fa ha vinto il premio Elsa Morante Ragazzi: nel 2016 Verónica Cantero Burroni, giovanissima scrittrice argentina, aveva appena 14 anni e tra i libri che aveva già pubblicato c’era Il ladro di ombre. È il suo primo racconto lungo, e narra la storia di un gruppo di ragazzi in una scuola di città; uno di loro, per aiutare economicamente la propria famiglia, ruba le ombre e le rivende a chi desidera per sé un’immagine diversa da quella che ha: un fisico longilineo, muscoli più marcati, un’agilità migliore. A scoprire l’illecito traffico sono alcuni compagni che, dopo aver notato la sparizione di alcune ombre nel cortile, accorgendosi dell’insolito comportamento di Roby Perez (migliore giocatore della loro squadra di calcio), lo seguono arrivando fino al bugigattolo dove teneva rinchiuse le ombre. È una storia di amicizia, di riscatto, di perdono; è una di quelle storie che, scritta da una ragazza per ragazzi, riesce a toccare però anche l’animo dei più grandi.
È nei giorni di fine scuola che mi è tornata alla mente la vicenda che lei racconta. E si sa, i libri che gli insegnanti fanno leggere ai propri studenti rimangono impressi nella loro memoria di adulti insieme al lavoro che hanno fatto in classe, intrecciati a quanto è emerso nella lettura; riaffiorano alla memoria intrisi dei pensieri dei loro studenti e delle perle preziose che si scoprono quando qualche punto del testo tocca le corde più intime di chi, insieme, lo sta leggendo.
In una prima media lo avevo proposto all’inizio dell’anno. Mi avevano seguito nella lettura e poi, dopo qualche lezione di lavoro insieme, ho chiesto agli alunni di disegnare la silhouette della loro ombra, colta nell’azione che più li caratterizzava. Avevo ricevuto cartoncini bianchi con sagome che nuotavano, ballavano, facevano dei magnifici goal in rovesciata, saltavano dalla gioia per l’uscita del nuovo singolo del loro cantante preferito. Avevo chiesto, anche, di scrivere una lettera all’autrice del romanzo, raccontandole qualcosa della propria ombra: come si comporta, come cammina, quali giochi le piace fare, quali sono i suoi desideri e le sue preoccupazioni e il modo con cui ha imparato ad esprimere sé stessa. Se nelle intenzioni della traccia della prova scritta che avevo formulato c’era quella di permettere ai ragazzi di guardare sé stessi, l’ironia, l’arguzia e la delicatezza delle loro parole nel presentare a Verónica la propria ombra aveva di gran lunga superato le attese.
C’è stato chi, di lettere, ne ha scritte due, dando voce anche alla sua ombra, con un interessante gioco di immedesimazione: dalle sue parole erano emersi pregi e difetti, e il desiderio recondito di qualcuno che – come la propria ombra – fosse sempre e in ogni momento con il suo proprietario, stesse con lui, qualunque cosa accadesse. Sono bizzarre, a ben pensarci, le forme che la nostra ombra assume (lo avevano scritto nei temi): si stende a volte sul terreno, si innalza sulle punte come una ballerina, ci segue correndo sul prato, fa canestro con noi, segue le nostre dita sui quaderni o sulla tastiera del pc, sale le scale, accarezza, colpisce, afferra e telefona con noi e poi, la sera, quando la luce è spenta e si va a letto dopo il lavoro, finalmente riposa.
Perché in questi giorni mi torni in mente il lavoro fatto in quella Prima lo spiega il fatto che, questo, è un momento di bilanci e le ombre sono lì, discrete, a ricordarci qualcosa di importante.
Ho steso, nelle ultime settimane, le relazioni finali del mio lavoro. Ho consegnato le schede dei progetti svolti, ho corretto le ultime verifiche e ho dato le mie valutazioni, mi sono insomma preparata per gli scrutini. Ho assistito, però, nelle ultime due settimane, anche a teatri, spettacoli, concerti e rappresentazioni. Ho visto la festa della scuola, nella quale i ragazzi hanno partecipato ad attività laboratoriali e presentato il lavoro dell’anno: le loro ombre, fedeli, li hanno seguiti in tutto, libere, felici e soddisfatte. Dal palco e dalle aule della scuola mi hanno detto, sottovoce, in tutte queste occasioni “Ci siamo anche noi”. Esco, adesso, dalla metafora, anche se anch’io non riesco a fare in modo che la mia ombra smetta di seguirmi (e per fortuna è giusto così). Gli spettacoli, i concerti, le rappresentazioni di fine anno sono lì a ricordarci l’unità della persona di chi, tra poco, sarà valutato negli scrutini e negli esami (e l’unità della persona di chi, tra poco, valuterà scrutini ed esami).
“Solo la vita può captare la vita” aveva affermato l’autore tedesco del XIX secolo Adalbert von Chamisso che dà il titolo al prologo dell’edizione spagnola del romanzo di Verónica. Abbiamo bisogno che sia questo la scuola: un luogo in cui la vita capti la vita e dia la possibilità, alle ombre di tutti, di esprimersi e diventare quello che sono, facciano esse spettacoli, concerti o verifiche e interrogazioni. Non è scritto, questo, sulla pagella. Lo sussurrano discrete le ombre, basta fermarsi un attimo ad ascoltare.