Come ho sottolineato in un mio precedente articolo, Valditara ha espresso convinzione che non è in sé “innovazione” il ricorso alle tecnologie (in Svezia anzi stanno tornando a carta e penna), né – aggiungo io – a metodologie didattiche specifiche, ma la creatività per la quale l’insegnante riesce, anche con metodologie specifiche, a intercettare il bisogno degli studenti: bisogno di motivazione e di fascino, bisogno di chiarezza e di ragionevolezza dei percorsi. Purtroppo la scuola, forse in assenza di una seria riflessione critica sul suo scopo fondamentale, ha dirottato la propria attenzione quasi esclusivamente su tecnologie e metodologie, e sembra voler continuare in questa direzione con i programmi attuativi del PNRR.



La didattica è la Cenerentola di questa situazione: i professori non hanno forse nemmeno più il tempo di preparare le lezioni (tanto i libri di testo sono percepiti dai prof per lo più come schemi preimpostati), pressati come sono da incombenze di tutti i tipi e da corsi che prescindono quasi completamente della materia che insegnano, dalla necessità di approfondirla e rileggerla alla luce dei profili in uscita della scuola.



Fa eccezione, in questo senso, la frequenza ormai sistematica con cui compaiono on line – da ultimo sulla Tecnica della scuola – inviti a utilizzare la grammatica valenziale come modello alternativo all’insegnamento di italiano nelle scuole. Il modello è sponsorizzato da anni da Indire, anche attraverso una pagina dedicata sul proprio sito, in cui si propone un progetto di ricerca sul campo, attivato a partire dal 2016 e attivo ancora nell’anno scolastico 2023-2024, dal titolo “Didattica della grammatica valenziale: dal modello teorico al laboratorio di grammatica in classe”.

In realtà il progetto era partito già molti anni fa utilizzando fondi europei (Progetti nazionali Pon Fse “Competenze per lo sviluppo” 2007-2013) come sezione “grammatica dell’italiano” all’interno del progetto “Lingua Letteratura e cultura in una dimensione europea”, e aveva dato origine a materiali teorici e pratici, prima circolati solo in alcune scuole delle quattro Regioni dell’Obiettivo convergenza, poi pubblicati sul sito Scuolavalore (vi partecipai anche io in qualità di esperto mandato dall’Istituto di ricerca educativa della Lombardia), infine approdati ad una pubblicazione, curata da Loredana Camizzi, dal medesimo titolo del progetto 2016-2024. La lunga storia del progetto in regioni tuttora afflitte da livelli bassi di apprendimento (cfr. dati Invalsi) testimonia da un lato il tentativo di introdurre fattori di miglioramento nelle scuole, dall’altro la difficoltà del tentativo, in quanto i risultati restano bassi, perché dipendono anche e forse soprattutto da condizioni di contesto.



La proposta comunque si presenterebbe allettante. In un articolo di La tecnica della scuola leggiamo: “Il metodo valenziale, da sempre auspicato dal linguista Francesco Sabatini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca, è considerato vincente perché pone gli alunni in condizione di comprendere con evidenza i meccanismi e i fenomeni linguistici, agendo non sulla memoria (come fa l’approccio normativo e il suo “definizionismo”) ma sul ragionamento e sull’intuizione, mediante i quali bambini e ragazzi individuano le relazioni tra i vari elementi linguistici che compongono le frasi semplicemente osservando la lingua d’uso a partire dal verbo”.

Per chi è digiuno dell’argomento, il nocciolo, intuitivo è il fatto che, dato un verbo, si capisce quanti attori (o “argomenti”) sono necessari per rappresentare il verbo: abbracciare richiede qualcuno che abbraccia e qualcuno che viene abbracciato, dare richiede qualcuno che dà, qualcuno che riceve e qualcosa che viene dato, abitare richiede qualcuno che abita e un luogo dove abitare, ecc. A seconda del significato del verbo si origina la “struttura argomentale” della frase, fatta di un certo numero di “partecipanti”. Al di fuori di questa scena teatrale si trovano gli scenari (quando, dove, perché ecc.) cioè i circostanziali. Il principio è assolutamente efficace fin dalle prime classi della scuola primaria dove le frasi possono essere mimate: i bambini non sbagliano più a riconoscere un verbo.

Tuttavia qualche nodo da sciogliere rimane, e purtroppo nonostante le rassicurazioni niente è semplice e dall’intuizione alla consapevolezza il cammino è lungo. Anche partendo dalla grammatica implicita dei bambini-ragazzi e dal livello del significato, il passaggio al modello astratto e a categorie teoriche rimane uno scoglio da non sottovalutare. Non per niente i livelli di difficoltà elaborati da Invalsi per classificare i suoi quesiti grammaticali pongono in basso l’approccio intuitivo-semantico, e in alto i processi in cui si intrecciano fra loro i diversi sottosistemi del linguaggio (lessicale-morfologico-sintattico-semantico-comunicativo). I pochi quesiti Invalsi basati direttamente sul modello valenziale si sono rivelati di un livello di difficoltà piuttosto basso, tanto che anche studenti digiuni di questa metodologia sono riusciti a risolverli (si può verificare sul sito gestinv).

Inoltre nel modello rimangono aperte questioni teoriche (cfr. il sito insegnaregrammatica.it), come la difficoltà per il bambino (e per l’insegnante) di distinguere il livello semantico-sintattico da quello comunicativo-informativo, che è alla base della distinzione fra “argomenti del verbo” e “circostanziali aggiunti” (che Sabatini chiama espansioni), come anche la reale natura degli elementi che Sabatini chiama “circostanti del nucleo”, che nella grafica a schemi radiali interrompono innaturalmente l’unità dei gruppi sintattici (es. mia zia / Paola). Quindi anche da parte degli insegnanti è richiesto un certo impegno teorico e critico, e non basta a scansarlo l’entusiasmo degli studenti per il metodo induttivo.

Non esistono panacee per risolvere i problemi. Del resto gli insegnanti che non leggono le riviste specializzate e guardano con sospetto il rappresentante editoriale che propone qualche novità, sono abituati alla difesa a oltranza della tradizione. Fino ad ora ho sempre pensato che ciò fosse dovuto alla indisponibilità ad aggiornarsi, a capire i presupposti teorici di un sistema del tutto nuovo. Oggi ho capito che la diffidenza degli insegnanti si lega indissolubilmente a quella degli studenti. Come avverte Antonio Viligante su Orizzonte Scuola: “Molto spesso un buon voto attesta semplicemente che lo studente ha fatto tutto il necessario per ottenere un buon voto. Non a caso le proposte didattiche più innovative trovano il più delle volte una opposizione ferma da parte degli studenti. Fin dalle elementari hanno imparato come fare per ottenere risultati più o meno certi e qualsiasi cambiamento in questa routine consolidata li manda in crisi”.

Questa sarebbe la vera novità: una scuola in cui si osserva e si ragiona sulle cose richiede soprattutto agli insegnanti non solo di riconsiderare quello che sanno, ma di utilizzare in classe il ragionamento come metodo, e non tutti sono disposti a farlo. Inoltre, sfugge ai più che la novità non solo della grammatica valenziale ma di tutti i modelli scientificamente più interessanti nella didattica (per esempio quello dei gruppi sintattici – non c’è solo la valenziale!) è considerare come oggetto di riflessione la frase, e non le parti (parti del discorso, complementi, proposizioni), e che l’altra novità ancora maggiore è che lo scopo della grammatica diventa osservare come funziona la frase, e non classificare e descrivere tutte le sue parti. Invece la grammatica scolastica, anche se non è più normativa (tranne che nei titoli dei manuali tipo “la parola giusta”), rimane una specie di censimento di ciò che esiste. Anzi, la valenziale, la panacea, finisce con l’indurre a classificare i verbi in base al numero degli argomenti… siamo alle solite!

È una sconfitta per tutti che il libro di testo di Francesco Sabatini, studioso encomiabile anche dal punto di vista delle energie spese per la scuola, non abbia avuto un buon esito in termini commerciali (gli insegnanti non lo adottano, tanto da indurre l’editore a non ristamparlo): evidentemente i problemi vengono fuori. È capitato a lui e ad altri “innovatori”. Altri autori, che hanno applicato questa metodologia contaminandola con il modo di procedere classificatorio tipico della tradizione, non fanno un buon servizio alla diffusione di una nuova mentalità.

In realtà la nuova grammatica scolastica, quella che veramente potrebbe rendere accessibile ai ragazzi insieme la complessità e la semplicità della grammatica (paradosso), con frutti non solo di intuizione ma di allenamento al pensiero astratto, non ha ancora trovato il suo canale per raggiungere davvero studenti e insegnanti.

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