Giampiero Marchi ha trasformato la sua passione per la cultura classica in una impresa che dà lavoro a molti docenti, organizzando corsi di greco antico e latino sparsi in alcune città del Nord Italia (ma l’ultima trovata è un corso di geroglifici egiziani di base con ben 25 iscritti!). Non solo. Ha vinto una sorta di scommessa con se stesso e con alcuni critici del suo approccio ritenuto “commerciale” alle humanae litterae, arrivando a estendere la cultura classica a un’ampia gamma di persone, affamate del mondo antico. Il suo metodo didattico è attivo, la sua visione è aperta alle innovazioni tecnologiche di un mondo sempre più globale.



Come le è venuta in mente l’idea di “GrecoLatinoVivo”? Potremmo definirla un “imprenditore” della cultura?

Il primo nucleo informe di “GrecoLatinoVivo” è nato ormai una decina di anni fa, quando mi sono avvicinato ai metodi diretti per l’insegnamento delle lingue classiche. Essendo poliglotta e avendo avuto occasione di insegnare italiano agli stranieri, mi rendevo conto che quella fosse una possibilità per insegnare in maniera più efficace il latino e il greco: avevo intenzione di dar vita ad alcuni corsi di latino e greco, ma l’occasione si è presentata qualche tempo dopo. È stata una sfida, inizialmente, forse un salto nel buio per certi versi, che ha richiesto impegni e sacrifici pesanti: spesso mi sono ritrovato a dormire in sede, ma la voglia di permettere a quante più persone possibili, di qualsiasi età o estrazione, di accedere al latino e al greco, fino ad allora lingue chiuse ermeticamente in licei ed università, superava ogni difficoltà.



Che cosa pensa, in generale, della salute dell’istruzione classica in Italia e nel mondo, alla luce dei suoi numerosi contatti?

Se guardiamo la componente scolastica e universitaria, certamente c’è bisogno di una maggiore attenzione e di un maggior rispetto nei confronti della didattica come scienza, questo è il mio parere, all’interno delle facoltà di lettere. Tali luoghi, che devono essere quelli di vera formazione, non danno nessuna competenza di questo tipo. In pratica le università formano esperti in letteratura latina o greca avendo come obiettivo principalmente quello di formare chi poi continuerà la carriera universitaria, ma non forniscono alcuno strumento per il lavoro che la maggior parte dei laureati in queste discipline andrà a fare. L’insegnamento non è un’arte o una vocazione, ma una scienza e come tale va studiata con attenzione: non si può pensare che 24 Cfu così come sono stati pensati nell’ultima riforma facciano un insegnante: sarebbe altrettanto paradossale pensare che 24 Cfu facciano uno storico o un filologo, no? 



Cosa intende quando dice che l’insegnamento delle lingue classiche è una scienza?

Voglio dire che serve una base teorica e una formazione di lungo periodo che per questo insegnamento non viene data. Spesso si sente parlare della Svezia: lì, l’individuo si forma come insegnante già dai primi passi del percorso universitario. Qui in Italia, quando si cita la Svezia, se ne sente parlare per lo più solo nel paragone con gli stipendi.

Ma in che modo quello che dice si potrebbe ottenere?

Bisognerebbe dividere il percorso della ricerca universitaria da quello che porta all’insegnamento liceale e scolastico, rendendo i due impermeabili tra loro. Ormai i tempi sarebbero anche maturi per dare un cambio. Nel resto del mondo la situazione è diversa, in quanto non avere una storia di studi classici così monolitica, con un liceo classico che la fa da padrone, permette una maggiore sperimentazione, anche se i numeri sono comunque minori. Negli Stati Uniti, grazie a realtà come Salvi e Paideia Institute, ha preso piede un bel movimento di interesse, in una realtà da sempre sensibile agli studi nel campo delle scienze cognitive.

Perché c’è tanta fame di lingue classiche? Vi è un identikit di chi si scrive ai suoi corsi?

Certamente c’è un grande e rinato interesse per le lingue classiche in Italia. Mi piace pensare che questo si possa inquadrare in una reazione ad un certo clima sociale che sta prendendo piede in questi ultimi tempi. In tre anni dai primi timidi corsi, nati a Firenze, abbiamo avuto più di 1200 iscritti, divisi su 6 sedi: un numero elevatissimo se pensiamo che sono corsi serali a cadenza settimanale. Di solito si avvicinano a noi studenti liceali che attraverso i social si rendono conto che le loro difficoltà possono essere superate con un approccio diverso, ma quasi subito capiscono che serve molto impegno ed in questo siamo molto chiari: non è una passeggiata. Abbiamo poi molti insegnanti di liceo e un numero cospicui di studenti “diversamente giovani”, che hanno studiato molti anni fa latino e greco e vogliono recuperare quelle conoscenze in un clima piacevole. Ci sono poi coloro che non hanno mai studiato queste lingue e hanno sempre sentito una sorta di interesse spontaneo. Diamo loro questa occasione.

Alcuni criticano la sua “anima” commerciale nel mettere in piedi questa impresa contro la natura liberale delle “humanae litterae”: come risponde a queste critiche?

Sono critiche tanto rare quanto ottuse, che non hanno né capo né coda. Qualsiasi persona che lavora viene stipendiata e guadagna dal proprio lavoro, e questo ne dovrebbe garantire professionalità. I nostri servizi e le nostre attività devono sostenere dei costi: dalle aule, ai materiali, al costo dei docenti e per questo richiedono un obolo. Qualsiasi attività, anche se gratuita per l’utente finale, ha un costo che si ripercuote sulla collettività: da qualche parte i soldi devono arrivare per coprire le spese e noi non abbiamo richiesto nessun contributo statale fino ad ora: ci sosteniamo solo con la serietà del nostro lavoro ed in questi anni abbiamo dato vita a qualcosa che non esiste in nessuna altra parte d’Europa. Peraltro l’impegno economico che viene richiesto ai partecipanti, un contributo sotto la media dei corsi di lingua, garantisce loro la serietà del nostro impegno e a noi la serietà del loro. La natura liberale delle “humanae litterae” sta nel loro messaggio. Grandi pensatori come Erasmo, Guarino da Verona o più recentemente Rouse si facevano pagare quando insegnavano, ma questo non si dice.

Mi hanno colpito i congressi sulla didattica delle lingue classiche che ha tenuto in teatri (finora di Firenze e Napoli), con una sorta di “spettacolarizzazione” da convention:  vi è stato grande affluenza di pubblico, pagante, tra l’altro. Come spiega il successo di questo modo innovativo di fare formazione?

Molto spesso assistiamo a convegni e seminari in cui c’è una netta separazione tra pubblico e relatori: la soglia di attenzione crolla alla velocità della luce e la noia avanza. Volevo qualcosa che fosse coinvolgente ma al tempo stesso serio: non c’è stata alcuna spettacolarizzazione, nessun circense sul palco, ma solo docenti normali, persone normali, giovanissimi a cui spesso non viene data voce, che hanno portato la loro esperienza, coinvolgendo i presenti. Le modalità con cui i relatori tenevano gli interventi (e gli interventi scelti) hanno permesso di tenere altissima la soglia di attenzione. Le persone sono rimaste a seguire i nostri lavori per due giorni: a Firenze erano 450 persone, a Napoli più di 350, che hanno partecipato versando un piccolo contributo. Questo rientra nel discorso precedente e non mi ripeterò, ma aggiungo che i partecipanti sono ben felici di versare una quota di partecipazione se quanto viene loro offerto è di valore. Va detto che questi eventi non riescono ad autofinanziarsi, vanno sempre in rosso (dopo il Seminario di Firenze ho dovuto quasi chiudere), ma sono importanti perché permettono di avvicinare persone ad un mondo che si è troppo a lungo chiuso in una torre eburnea. Per quanto io  guadagni con il mio lavoro, moltissimo poi va a finanziare altri progetti e nuove iniziative. Sono fiero del fatto di essere autonomo in questo senso, senza dover chiedere, come succede altrove, nulla allo Stato o a enti privati.

La prossima sfida?

Ci prepariamo per il Terzo Seminario, a marzo 2020. Avevamo inizialmente pensato a Milano come sede, ma ormai è sicuro che la scelta sarà tra Mantova o Firenze.

Molti docenti, legati ad un approccio tradizionale, sono scettici sull’uso attivo e/o comunicativo delle lingue classiche, mentre lei e i suoi collaboratori insegnante lingue classiche come lingue vive, per dirla in breve.

Gli studi di linguistica acquisizionale su cui si basa gran parte del nostro lavoro non fanno parte della formazione universitaria in lingue classiche: per questo c’è una scarsa conoscenza delle basi scientifiche del nostro operato. Molti docenti della vecchia guardia inoltre non sono fluenti in nessuna altra lingua che non sia l’italiano, e non hanno percezione di quanto l’utilizzo attivo di una lingua porti un beneficio nell’apprendimento della stessa, qualsiasi utilizzo se ne voglia fare – leggere un testo o parlare. Qualsiasi uso se ne voglia fare, il percorso per acquisire saldamente una lingua è quello, non si scappa. Non è un caso se sono i più giovani, già fluenti in inglese, ad avvicinarsi a questo approccio. Purtroppo non si riesce a capire che esiste un percorso ben preciso a livello cognitivo per apprendere una lingua: di questo ne era già consapevole Dino Pieraccioni, che però è passato alla storia per i suoi studi in grammatica storica.

Che tipo di studente era ai tempi del liceo?

Già parlavo inglese e francese, ma in latino e greco ero uno studente mediocre: avrò preso il debito di latino e greco tutti gli anni, proprio perché il modello di insegnamento andava contro il naturale processo di apprendimento linguistico: allora non c’erano alternative, oggi ci sono e vogliamo dare l’opportunità ai ragazzi di impegnarsi sulle lingue classiche ma in modo efficace. Trovo inammissibile che dopo 5 anni di studio tutti gli studenti arrivino al massimo a tradurre 12 righe in due ore scarse e che questo non sia un problema per nessuno. I nostri studenti leggono gli autori ad aperturam libri dopo 130 ore di lezioni e non sono più motivati di un quindicenne: è compito del docente tenere viva la motivazione degli studenti, se facessi loro imparare a memoria declinazioni andrebbero via dopo due lezioni.

Ha progetti prossimi per il futuro?

Stiamo rilasciando un progetto, TellusLatina.org, che prevede di mettere in contatto tutti i parlanti latino nel mondo, localizzati su una mappa. Potranno essere caricati e scaricati libri in una biblioteca localizzata ad Alessandria d’Egitto, si potrà parlare di latino, di filosofia e di altro ad Atene. Inoltre le scuole riconosciute come valide nel campo della latinitas viva potranno registrarsi e mostrare sulla mappa i loro eventi. Vuole essere un social per chi ama il mondo classico, eliminando al contempo tutto il marciume che si trova oggi in questi strumenti: un’isola felice, con regole di convivenza e rispetto. Dovrebbe essere pronto a maggio, ma è un lavoro di grande portata, e stiamo curando ogni dettaglio.

(Marco Ricucci)