Parlare di scuola, oggi, non è facile perché sono in atto tendenze diverse e contrastanti, alcune rivolte al cambiamento e altre tendenti a riproporre lo statu quo antecedente. Una situazione complessivamente non decodificabile, almeno con uno sguardo intuitivo. Forse per rendere conto, anzitutto a noi stessi, di quanto sta avvenendo conviene usare delle immagini, riferite a situazioni concrete.



Ecco la prima, quella del ritorno a scuola dei docenti sospesi perché non in regola con l’obbligo vaccinale. Riammessi a scuola, ma non in classe, proprio perché non vaccinati. Cosa possono fare? Partecipano ad attività di servizio e documentazione in biblioteca, all’organizzazione dei laboratori, ai servizi amministrativi e altro ancora. Praticamente svolgono compiti laterali rispetto all’insegnamento. Il governatore De Luca, battutista, ha osservato che, in questo modo, i presidi organizzeranno corsi di burraco, per far loro passare il tempo.



Si parla anche di attività collegiali, ma quali? Certamente possono prendere parte al collegio dei docenti, ma non ai consigli di classe o ai ricevimenti dei genitori. Questi ultimi, infatti, sono affidati ai loro supplenti, come le lezioni in classe, perché i riammessi a scuola, privi di vaccino, non possono entrare in contatto con gli alunni. Così, in questo modo, lo Stato paga due stipendi: quello del docente rientrato dalla sospensione e quello del supplente. Paradossale? Certamente, ma non solo.

L’amico onorevole Gabriele Toccafondi ha spiegato, in Parlamento, che ciò risulta anche diseducativo. Gli alunni, infatti, avranno comunque l’occasione di vedere i loro docenti, che non potranno giustamente restare reclusi in un sottoscala: cosa penseranno nel vederli a scuola ma non al lavoro in classe? Forse potrebbero trarre la conclusione che chi non ha rispettato l’obbligo vaccinale abbia ricevuto una sorta di premio, con l’astensione dal lavoro. In un mondo alla rovescia, ricordare che la funzione essenziale e primaria per i docenti è quella di insegnare potrebbe apparire perfino provocatorio, ma, in quel mondo, anche monsieur De Lapalisse finirebbe per apparire un pensatore bizzarro.



I test a risposta multipla e i concorsi per entrare a scuola: questa è la seconda immagine. Con i test possono avere luogo concorsi di livello nazionale, utilizzando i laboratori delle scuole e la sorveglianza del personale. In questi termini, essi sono relativamente poco costosi e rapidi: due notevoli vantaggi. Ma vantaggi per cosa? Non certo per effettuare una valida selezione del corpo docente. Il risparmio per lo Stato e la velocità nell’espletamento del concorso non garantiscono la ricerca dell’autentico valore. Darwin si lamentava di non avere prontezza nel rispondere a tutte le obiezioni che venivano mosse alla teoria evoluzionista, nel corso delle sue conferenze. Forse non avrebbe superato i quiz, nel vortice dei pochi minuti previsti… La capacità di pensare in profondità richiede tempo.

I concorsi nazionali non funzionano, come le graduatorie, che sono ingestibili. Spesso non si trovano i supplenti. In compenso molti avvocati lavorano nel contenzioso sindacale che si ingenera a dismisura.

Occorre offrire alle scuole la libertà di selezionare il personale di cui hanno bisogno. Ovviamente è necessario, poi, misurare il rendimento delle scuole stesse, perché, se fosse basso, ciò significherebbe che le loro scelte sono state sbagliate. E ne dovrebbe rispondere il preside e tutta la dirigenza della scuola. Mi rendo conto che non è un programma di poco conto (“vasto”, avrebbe detto De Gaulle!), per questo potremmo iniziare dai supplenti, offrendo alle scuole una piena, ma motivata, libertà di scelta. Dovremmo anche procedere a testa bassa con i test Invalsi e la valutazione complessiva delle scuole autonome.

Qual è il sentiment oggi predominante nella scuola? C’è un forte desiderio di ritorno alla normalità, che cozza contro il nocciolo della realtà e i tragici eventi di guerra, le cui immagini invadono la nostra vita. Sappiamo anche che la pandemia non è finita e che, non potendola debellare definitivamente, ci siamo rassegnati a considerarla come endemica. Questa è la terza immagine: l’ansia di normalità che si appresta a trovare soddisfazione nel rito dei viaggi d’istruzione, invocati a furor di popolo (vuoi dagli alunni, vuoi dagli insegnanti). Essi sono deliberati dagli organi collegiali, ma si va anche oltre le delibere. Per chi non lo sapesse, c’è anche il rito dei Cento giorni dal termine della scuola (ma spesso si va oltre il centesimo…), nel corso del quale le classi dell’ultimo anno se ne vanno a festeggiare il termine degli studi, come se fosse una sorta di addio al celibato o al nubilato.

Cosa hanno in comune queste tre immagini? Il fatto che nella scuola, paradossalmente, ci stiamo dimenticando la dimensione educativa, assimilando la sua struttura a un mero servizio. Per questo occorre ritrovarne l’anima, che non si vede nel rientro dei no vax, una soluzione posticcia, che aggiusta (perché forse evita qualche ricorso al giudice) ma non risolve. Un’anima che non si riscontra nei concorsi, dove non si considerano, né emergono, le persone che si candidano a insegnare; che non si vede, infine, nel ruolo educativo verso gli alunni, che dovrebbero essere invitati a riflettere su una normalità tuttora inesistente, perché è in atto ancora la pandemia con un surplus di guerra.

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