“Una scuola, nella quale chi insegna crea una climax impregnata di speranza, non saprebbe forse ridestare anche negli allievi timidi o insicuri risorse emozionali altrimenti perdute nell’angoscia e nella tristezza?”
Mai come in questo momento dell’anno, in cui tanti ragazzi e genitori sono chiamati a scegliere il nuovo percorso di studi, risuonano attuali e decisive le parole di Eugenio Borgna. Pertanto, è il caso di chiedersi se gli Open day e le svariate attività organizzate dalle scuole per favorire le iscrizioni al nuovo anno scolastico 2025-2026 siano d’aiuto nella decisione che si sta per prendere. Occorre domandarsi di cosa abbiano davvero bisogno le famiglie che nella finestra temporale per la presentazione della domanda – dal 20 gennaio al 10 febbraio 2025 – devono effettuare l’iscrizione.
A mio avviso, è necessario che non ci si limiti ad organizzare soltanto sterili iniziative, ma che si cominci a lavorare seriamente, durante tutto l’anno, sulla scuola come centro di speranza per i propri allievi; luogo in cui è possibile incontrare maestri capaci di destare vocazioni, risvegliare inclinazioni, attraverso la disciplina che insegnano, mediante l’attività didattica che sono chiamati a svolgere quotidianamente in classe. Come sostiene George Steiner in La lezione dei maestri, l’incomparabile soddisfazione di un insegnante consiste nell’essere il “servitore” e il “corriere dell’essenziale” per il privilegiato compito che ha, che è quello di risvegliare inclinazioni sconosciute nei propri alunni: “Tale è pure la vocazione del maestro. Non esiste una professione di maggiore privilegio. Risvegliare in un altro essere umano forze e sogni superiori alle proprie; indurre in altri l’amore per quello che amiamo; fare del proprio intimo presente il loro futuro: è una triplice avventura senza pari”.
La vocazione non è un’imposizione, ma un’ispirazione, un’occasione, un discreto suggerimento che accade, imprevisto e imprevedibile, soprattutto a scuola, dove i ragazzi trascorrono la maggior parte del loro tempo. Sia a casa sia a scuola, i nostri allievi hanno bisogno di adulti certi, di guide sicure con cui condividere l’avventura della crescita e non aver paura del futuro. Se si insegna bene, si diventa complici di “possibilità trascendenti”, afferma ancora Steiner: “Una volta risvegliato, quel bambino esasperante nell’ultima fila potrà scrivere pagine o concepire teoremi che terranno impegnati per secoli. Una società, come quella basata sul profitto sfrenato, che non fa onore ai propri insegnanti, è difettosa”.
È proprio vero il proverbio africano che recita: “Per crescere un bambino ci vuole un villaggio”. Sì! Occorre una comunità coesa di docenti e allievi, di insegnanti e genitori, perché la statura di un uomo non la decide la singola persona, ma i segni e i suggerimenti che il “villaggio-scuola” svilupperà nel tempo. La vita ci è stata donata, noi ne siamo i protagonisti, ma non i padroni, per cui è necessaria un’attenzione curiosa e attenta ai segni presenti, che, a ben guardare, non mancano mai.
La scuola, attraverso qualunque attività si organizzi, deve tornare ad essere un luogo di relazioni eccezionali tra maestro e allievo. Noi siamo gli incontri che facciamo. La nostra vita, ciò che vorremo fare “da grande”, ma soprattutto “di grande”, lo decidono i rapporti veri che abbiamo intessuto lungo il percorso della nostra esistenza, i legami che abbiamo stretto, ciò che abbiamo saputo guardare e imparare da chi ci ha guidati.
Invece, noi impostiamo la vita, soprattutto quando si tratta di scegliere, esclusivamente sul criterio del piacere, dell’ambizione e del guadagno; criteri validi, ma che non costituiscono l’unica e vera prospettiva. La felicità non sta nella riuscita, ma nell’incontro con qualcuno che ha permesso la scoperta della propria umanità.
“Non può condurre alla felicità nessuno che ha come criterio se stesso. Devi vivere per qualcuno se vuoi vivere per te stesso”, amava ripetere Seneca. Ed è proprio quello che deve accadere nelle aule scolastiche. Il maestro e l’allievo sono chiamati a condividere un cammino in cui c’è in ballo il destino di un individuo, di una generazione, della società. Tutto questo può avvenire se la lezione tornerà ad essere il cuore pulsante delle nostre scuole. Le parole “lezione”, “lectio”, “legere”, provengono dal greco “légein”, un termine che ha a che fare con l’atto del raccogliere, del radunare, del mettere insieme; infatti, la lezione è una sorta di chiamata a raccolta intorno al sapere; non si rivolge al singolo, ma ad un gruppo di persone e prevede un rapporto tra maestro e allievi. Come nella celebre Scuola di Atene di Raffaello, i filosofi si intrattengono insieme per conversare, disputare intorno alla conoscenza. La lezione a scuola è l’occasione privilegiata per leggere e conoscere il mondo, per discernere cos’è la realtà e cosa siamo noi. Dentro questo tipo di esperienza, fatta di sguardi, sacrifici, difficoltà, impegno e dedizione, si gioca la partita della vita, l’orizzonte di senso, il modo con cui si entra in rapporto con il mondo: in una parola ci si orienta.
Il vero orientamento inizia nelle classi, quando un insegnante prende a cuore il bene dell’alunno, attraverso qualunque disciplina insegni; e il bene dell’alunno è la sua felicità, la sua vera realizzazione. I nostri alunni, quando frequenteranno l’università, quando saranno impegnati nel loro lavoro, non ricorderanno le nozioni impartite negli anni precedenti o le attività svolte per incentivarli nella scelta di un particolare percorso di studi, ripenseranno invece a quello sguardo pieno di certezza verso il proprio futuro di uomini.
L’avvenire è un tempo che vale sempre la pena attendere, soprattutto quando nel presente si è fatta esperienza di un maestro che “con lieto volto (…)/ mi mise dentro a le segrete cose”, come avrebbe affermato Dante.
Il presente, a scuola, necessita di luoghi vivi in cui si possano gettare i “semi” che serviranno alla “guarigione delle nazioni” in futuro: “Potremmo non vedere mai il risultato, ma il piccolo seme metterà radici e un giorno crescerà fino a diventare un grande albero – un albero che potrebbe essere per la guarigione delle nazioni”. (V.M. Hood, Reading in the Nursery).
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