Alessandro D’Avenia, scrittore e docente, esperto di adolescenti e ragazzi, ha ragionato sul ruolo della scuola, specialmente a fronte dell’attuale dibattito sulle occupazioni. Queste ultime, secondo l’esperto, “negli anni sono diventate un cliché, un rituale che mima un desiderio di cambiamento ma non ottiene nulla“, senza contare che per moltissimi studenti sono solo una scusa per stare “a casa per una settimana senza studiare”. 



Ma piuttosto che parlare di occupazioni a scuola, che sono appunto eventi un po’ fini a loro stessi, D’Avenia ci tiene a porre l’accento sul fatto che nel sistema scolastico vi è un’eccessiva “quantificazione del sapere. Bisogna ottenere performance ben determinate e questo mette in ansia tutti”, mentre dovrebbe essere un luogo “in cui il sapere ha come fine prendersi cura di se stessi”. Questa cultura della performance e del sapere a qualunque costo, sottolinea ancora D’Avenia nel suo ragionamento sulla scuola, “crea ribellione negli studenti” che con l’occupazione evidenziano come il sistema si occupa “della performance e non di [loro]”. 



D’Avenia: “La scuola ha perso la sua autorità”

L’intero dibattito sulle occupazioni, oltre che quello sulla scuola, spiega ancora D’Avenia, è peraltro “ostaggio delle polarizzazioni”, in un contesto in cui “si parla dei ragazzi, e pochissimo con loro“. Ne è un esempio, secondo l’esperto, il fatto che “la domanda fondamentale”, ovvero ‘cosa vuoi fare da grande?’, “un ragazzo se la sente fare soltanto alla maturità”, mentre in realtà “dovrebbe essere la prima che gli si pone”.

Appare evidente a D’Avenia, d’altronde, che a scuola i ragazzi “cercano comunque i maestri, chi si prende cura di loro”, mentre tutto ciò che ottengono in cambio sono “aspettative” nei loro confronti. Il sistema scolastico, insomma, “ha perso di credibilità e di autorità perché si è deciso che autorità era autoritarismo”, quando in realtà significa “far crescere”. Le regole a scuola, spiega D’Avenia, se usate per controllare i ragazzi, portano alle ribellioni, perché “se si usa solo la paura, implicitamente ammettiamo che quello che insegniamo non vale di per sé”. La disciplina, conclude l’esperto, “ha senso se è dentro la cura”, mentre tutto il resto “sono chiacchiere”.