Questa notte ho fatto un sogno, un sogno piuttosto strano, ne converrete: ho sognato che si avvicinava l’esame di Stato; e, in quell’imminenza, la cosa più importante non era la preparazione del Documento del 15 maggio con tutta la documentazione, ormai sconfortantemente ipertrofica – ogni coordinatore di classe lo sa fin troppo bene –, da allegare al Documento, così da renderlo più simile alla mole del Rocci (il mitico dizionario di greco, tre chili e rotti di saggezza linguistica condensata, che hanno turbato i sonni di molti di noi), che non a un faldone a uso scolastico.
La cosa davvero importante, nell’imminenza dell’esame di Stato, in quel mio sogno, non era nemmeno tutto l’insieme dei doveri e obblighi per il Pcto (ex Alternanza scuola-lavoro), e neppure tutta la mole degli allegati di ogni genere e tipo di cui tenere conto.
Nel mio, bizzarrissimo, ne converrete, sogno o miraggio che dir si voglia, il principale elemento da tenere in conto e da valutare nell’esame di Stato era la capacità dello studente, nella prima prova, di scrivere in un italiano scorrevole, fluido, lessicalmente e morfosintatticamente corretto, riuscendo a comunicare contenuti culturali, certo, ma anche quello che il ragazzo è ed è diventato attraverso la scuola, la persona che ha saputo essere grazie alla frequenza e agli stimoli culturali che il suo istituto, i suoi docenti, le sue letture e le sue esperienze degli ultimi cinque anni gli hanno comunicato e che egli ha saputo fare propri.
E insieme, l’altro elemento di cui tenere conto in quel bizzarro esame di Stato del mio sogno era la capacità dello studente di dimostrare, se iscritto al liceo classico, di saper tradurre autonomamente e contestualizzare e commentare un brano della letteratura latina o greca; se iscritto al liceo scientifico, di saper risolvere quesiti e problemi di matematica e fisica di una certa complessità, che non comportassero la mera applicazione di formule mnemoniche, ma che rivelassero capacità autonoma di impostare problemi e cercare soluzioni ai quesiti costruendo un percorso logico; se studente di liceo linguistico, di esprimersi, su contenuti culturali e letterari, in inglese, francese o tedesco, o spagnolo, con scioltezza e un lessico corretto, oltre che nel rispetto della grammatica della lingua studiata.
Davvero un sogno strano, vero? Un sogno in cui, peraltro, la commissione d’esame, composta da membri esterni, eccetto un commissario interno per ogni classe (perché, davvero, che senso avrebbe sostenere un esame conclusivo di un corso di studi, venendo valutati dagli stessi docenti che conoscono e valutano gli studenti da tutto un anno, quando non da tre o cinque annualità?), valutava serenamente, e in cui, come in ogni esame, l’esito non era banalmente scontato, ma dipendeva, come è normale in ogni prova, in gran parte dal livello della performance.
Un esame, quello che ho sognato, in cui non era automatico né scontato che i promossi – un tempo si sarebbe detto “i maturi” – fossero il 98 e passa per cento dei candidati, e questo non per inutile sfoggio di crudeltà o di sadismo professorale, ma perché, se di esame si tratta, deve essere davvero una prova reale, che tenga conto del percorso di studi compiuto, ma che non ne sia la banale e come automatica ratifica, altrimenti non avrebbe senso quella grande macchina che ogni anno, nel mese di giugno, investe le scuole e le famiglie con tutto il corredo di ansie, stress e malumori; altrimenti, meglio sarebbe abolire l’esame e sostituirlo con una scheda che riporti i voti nelle singole materie dell’ultimo anno, attribuiti dai docenti della classe stessa.
Quello che ho sognato era un esame di Stato dopo il quale, all’università, anche nella facoltà di lettere e filosofia, non accadeva più che gli studenti, anche se diplomati con voti discreti o buoni, non fossero in grado di affrontare autonomamente lo studio di un manuale o di una mole di pagine corposa, o di comprendere la differenza fra parte istituzionale e corso monografico entro una delle materie di studio.
Insomma, un sogno proprio strano il mio, vero? Il sogno, forse, di un’inguaribile nostalgica – dite pure, “vecchia dentro”, se vi aggrada – che vorrebbe però tanto vedere uscire dal liceo persone con una formazione solida e sicura, tanto da potere, come cantava Luca Carboni, “resistere agli urti della vita”.
Ma ora, basta sognare e andiamo a correggere le verifiche… E a predisporci per la futura stesura del Documento del 15 maggio.
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