Caro direttore,
ho letto l’ormai famoso articolo di Alain Elkann su Repubblica. L’ho letto e ho aspettato. Ho voluto assistere alla marea di reazioni che quel testo ha provocato. Nel suo pezzo, il raffinato scrittore e viaggiatore analizza con disprezzo un gruppo di bulletti maleducati con cui si trova a viaggiare sul treno che va da Roma a Foggia.
Il panorama giornalistico si è diviso in due: la maggioranza (tra cui il comitato di redazione del quotidiano romano) ha accusato Alain Elkann di classismo, indifferenza snobista, quasi razzismo verso le nuove generazioni. Un gruppo ristretto (Sgarbi, l’Associazione nazionale presidi) ha affermato che Elkann ha messo in luce con grande lucidità una piaga del nostro tempo, la maleducazione e la violenza insita nel nostri adolescenti.
La questione fondamentale – ancora più tragica delle raffigurazioni fatte da opinionisti e giornali – è però secondo me un’altra. La cogliamo se paragoniamo il viaggio in treno di Elkann con un viaggio simile fatto da don Luigi Giussani negli anni cinquanta da Milano a Rimini, come già ha fatto in un suo articolo Manuela Antonacci su Il Timone. Anche Giussani si era imbattuto (anche se non in prima classe) in un gruppo di ragazzi che facevano rabbia per il loro atteggiamento.
Sentiamo i due adulti a confronto. Elkann: “Io mi sono domandato se era il caso di iniziare a parlare col mio vicino, ma non l’ho fatto. Lui era la maggioranza, uno nessuno centomila, io ero inesistente: qualcuno che usava carta e penna, che leggeva giornali in inglese e poi un libro in francese con la giacca e i pantaloni lunghi. Per loro chi era costui? Un signore con i capelli bianchi, una sorta di marziano che veniva da un altro mondo e che non li interessava”.
Giussani: “mi sono messo a discutere con loro e li ho trovati totalmente ignoranti di religione e di cristianesimo; il loro scetticismo, il loro atteggiamento derisorio, la loro miscredenza non faceva rabbia, ma pena, perché nasceva evidentemente da una ignoranza. È stato questo contatto che ha fatto venire a me la ‘rabbia’ perché conoscessero, perché sapessero di più, fossero in più a sapere quello che a me era stato dato”.
La differenza non è soltanto che Giussani si è implicato, si è messo a discutere con il gruppetto, si è sporcato le mani e invece Elkann no. Il vero abisso tra i due è un altro. Elkann si sente “inesistente”. La sua non presenza, la sua statura inesistente, è data dal fatto che quelli “non lo vedono”. È solo davanti ai lanzichenecchi. Giussani – che i ragazzi lo considerino o meno – sente che la sua presenza c’è ed è dovuta a qualcosa “che a lui era stato dato”. Giussani si pone e dialoga con i bulli perché può proporre qualcosa che viene prima di lui.
Per questo, alla fine del viaggio, Elkann se ne va e quello che ha vissuto resta un episodio triste e lontano dal suo mondo. Giussani dopo quel viaggio sceglierà di lasciare l’insegnamento di teologia in seminario per andare a insegnare tra i ragazzi delle scuole superiori. Da lì nascerà Gioventù Studentesca e poi CL, un movimento che vuole abbracciare e accompagnare il desiderio di vita dei giovani.
Per Elkann la storia, le circostanze, sono un brutto incidente. Per Giussani la storia, le circostanze rappresentano la possibilità del cambiamento del proprio destino.
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