È ormai abituale leggere o ascoltare notizie che riguardano aggressioni, anche molto violente, che genitori di studenti portano avanti nei confronti di insegnanti e docenti. Risale a pochi giorni fa la notizia della multa di 600 euro a cui una mamma di Lecce è stata condannata dal giudice per aver preso a pugni l’insegnante di storia di suo figlio. La vicenda era avvenuta in una scuola media in provincia di Lecce, e a causa dell’aggressione subita la prof aveva riportato una prognosi di cinque giorni per una contusione alle spalle.



Queste aggressioni, delle quali gli insegnanti sono sempre più spesso vittime, da parte dei loro alunni e delle famiglie che ne sostengono in modo arrogante le ragioni, lasciano senza parole e non dovrebbero essere sottovalutate.

Mentre fino a qualche decina di anni fa il patto silenzioso tra scuola e famiglia ancora reggeva, oggi sembra che tale alleanza abbia perso del tutto la sua consistenza ed il suo valore.



Scrive lo psicanalista Recalcati: “I genitori anziché sostenere i rappresentanti del discorso educativo si schierano con i loro figli, lasciando gli insegnanti in una condizione di isolamento”. Messi all’angolo da uno Stato che sottovaluta il loro lavoro – anche economicamente parlando –, costretti a svolgere compiti educativi che spesso la famiglia assente delega loro, con l’assillo di dover rispettare alla lettera procedure burocratiche e legali per non incorrere in ricorsi o proteste, i docenti soffrono di una condizione umiliante di vera e propria frustrazione.

Come afferma Vladimiro Zagrebelsky: “Ogni autorevolezza della figura professionale dell’insegnante è perduta e con essa il rispetto per la persona e la possibilità stessa di far opera di educazione”. All’origine di tal fenomeno vi sono certamente gli atteggiamenti falsamente protettivi e narcisistici dei genitori che nascondono una fragilità e un cedimento psicologico degli adulti nei confronti delle pretese di figli-padroni sempre più ingestibili e tirannici. Lo spiega Crepet: “Oggi abbiamo dei genitori ‘invertebrati’, disposti a farsi mettere sotto i piedi dai figli, a chinare il capo fino a farselo tagliare… Voi genitori dormite e loro intanto regnano”.



Di fronte a questo scenario occorre però non restare ad un’analisi superficiale dei fatti. Ben vengano le iniziative del ministro Valditara a tutela della dignità docente (rappresentanza in sede civile e penale, voto condotta, riconoscimento economico). Ma le questioni principali che vanno recuperate sono due: il tema dell’autorevolezza e il tema dei luoghi di dialogo.

Che cosa permette alla figura di un prof di avere uno spessore e una non “parità di livello” all’interno della scuola? Non basta il titolo, non basta “la conoscenza della materia”. Occorre che il docente comunichi un senso della vita e dello studio, uno scopo per cui farlo, in modo da “far crescere” (augere) la persona del ragazzo. Il ragazzo (e i suoi genitori) provano rispetto non per un’etichetta o un ruolo, ma se vengono a contatto con una ipotesi totale di vita che l’educatore rappresenta e incarna. I genitori – anche e soprattutto quelli che non sanno o non sono stati capaci di dare una strada ai propri figli – riconoscono però chi una strada la comunica. Non lo aggrediscono. Lo difendono.

In secondo luogo, mancano spesso nei nostri istituti dei luoghi, degli spazi e dei tempi dedicati al dialogo tra docenti e genitori. La scuola è evidentemente e indubbiamente scuola dei ragazzi. Ma di riflesso è anche test per i loro genitori. Di riflesso può essere un luogo di crescita e di verifica per il proprio essere padri e madri. Non perché offre soluzioni e risposte, ma perché può mettere in cammino gli adulti, proprio affrontando i problemi dei figli. Per questo sarebbe interessante creare nelle scuole dei luoghi di confronto liberi ed aperti fra genitori e insegnanti, avere dei momenti di incontro e degli spazi di dialogo (con l’aiuto, perché no?, anche di esperti) che possano liberare le famiglie dalle immagini spesso fittizie e illusorie che spesso la società  e i media danno del successo o del fallimento dei propri figli. Ma liberare anche lo sguardo dei docenti sui propri alunni da una riduzione classificatoria e schematizzante, per avere invece un quadro più realistico della loro persona fatta di molteplicità e ricchezza di aspetti.

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