Cosa ha da dire Dante al lettore dei nostri giorni? In cosa consiste la sua attualità, se ve n’è una? La risposta a queste domande può risolversi in un arguto esercizio teorico, volto a sottolineare quelle che sono le priorità di chi scrive l’articolo. Oppure può essere la verifica di ciò che l’opera di Dante suscita in chi la legge oggi, senza pregiudizi o sovrastrutture di alcun tipo (tantomeno culturali e letterarie), cioè negli studenti delle nostre scuole. Quegli studenti che in numero copioso e da ogni ordine di scuola hanno deciso anche quest’anno di partecipare ai Colloqui Fiorentini. Se uno studente è introdotto da un valido insegnante alla lettura del nostro più grande poeta, è messo nelle condizioni di verificare se davvero Dante ha qualcosa da dire ancora oggi, fuori da ogni retorica e da ogni reverenza intellettuale.



E di cosa si accorgono gli studenti oggi, dai più istruiti e preparati ai meno predisposti e più ingenui? Innanzitutto, in modo trasversale, che Dante è un amico.

Lo ripetono in moltissimi nelle tesine che hanno elaborato per poter partecipare al convegno. Una frase che torna sempre, nelle edizioni dei Colloqui, per ogni autore, ma in modo assolutamente insistito con Dante. Una frase, se si vuole, un po’ ingenua… Finalmente!



“Mi piace leggere come una portinaia: identificarmi con l’autore e con il libro. Ogni altro atteggiamento mi fa pensare al sezionatore di cadaveri”, scrive il filosofo Emil Cioran. È così che noi vogliamo tornare a insegnare letteratura e far godere della lettura i nostri studenti. E loro ci stanno e ne godono e dicono: Dante è un nostro amico. Con tutta l’ingenuità, ripeto, ma con tutta la forza di provocazione e di cambiamento che si porta dentro una frase così. Perché una teoria letteraria non cambia la vita, un amico sì. Come scrive il grande critico George Steiner: “Una lettura seria e profonda cambia la vita: è un incontro con un’apparizione imprevista, come un incontro all’angolo della strada con l’amante, con l’amico, con il nemico mortale”.



Ma in che modo Dante, a settecento anni dalla sua morte, continua ad essere amico degli studenti, anche quelli del 2021?

Ci sono alcune scoperte che Dante fa fare come assolute novità.

1. L’uomo non è perfetto, come stiamo sempre più inculcando nella testa dei nostri giovani, per i quali l’uomo va bene così com’è, senza alcuna percezione del proprio limite, del proprio male, del proprio peccato. Quando, leggendo Dante, entriamo in contatto con questa parola, peccato, essa giunge alle orecchie dei miei studenti come un termine strano, sconosciuto, inaudito. Più di una volta, discutendo con loro, mi hanno candidamente confessato che si ritengono perfettamente innocenti, non hanno percezione di aver mai fatto il male. Poi però sono pieni di complessi di inferiorità, schiacciati di fronte all’inspiegabile fallimento di ogni loro più profondo desiderio ed aspirazione. Invece Dante, che anche lui ha dovuto faticosamente conquistare la consapevolezza del proprio male, ce la propone fin dall’incipit della sua opera: “Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura, / ché la diritta via era smarrita”. Se c’è una via diritta, tutte le altre sono storte, sbagliate, maligne. E se le intraprendi fai il male, tuo e del tuo prossimo. Non si può cominciare un cammino verso la felicità, se non accusando l’evidenza dell’errore, del peccato.

Ma proprio mentre Dante dice che l’uomo non è perfetto, allo stesso tempo dice che è perfettibile, cioè può sempre iniziare un cammino verso il suo compimento. Non esiste in Dante situazione tanto oscura che possa impedire all’uomo, in qualsiasi momento, di riscattarsi, di camminare verso la felicità e la salvezza. Anche questo è negato ai nostri giovani, sempre così velocemente condannati al primo sbaglio, da un mondo che prima gli dice che possono fare ed essere tutto ciò che vogliono, che vanno bene così; poi, quando cadono, li schiaccia nell’umiliazione e nella pubblica gogna.

La vita, dunque, non è un male, anche se il punto di partenza è la selva oscura. È possibile essere felici, la vita ha un senso ed è possibile andare alla sua ricerca, perché la realtà c’è, è lì tutta intorno a me ed io la posso indagare, interrogare, percorrere. “Ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai” (titolo di questa edizione dei Colloqui Fiorentini) è il motivo per cui Dante scrive tutta la Commedia. Non per parlare del peccato, ma per raccontare la storia della sua salvezza, del compimento della sua felicità.

2. L’uomo si può dunque realizzare, ma non come un assoluto, bensì come relazione d’amore. L’idea che abbiamo oggi di realizzazione di noi stessi è quella dell’autodeterminazione. In noi, nei nostri talenti, nelle nostre capacità, con la nostra volontà ed il nostro impegno, troveremo la forza (chi ci riesce!) per realizzare il nostro destino, che si connota come assoluta libertà da ogni dipendenza esterna. Al massimo possiamo riconoscere di avere bisogno di un personal trainer, cioè di un esperto che sappia tirar fuori da noi il meglio di noi, per permetterci di raggiungere questa autodeterminazione.

Leggendo Dante, invece, gli studenti si commuovono per l’amicizia con Virgilio, per la paternità di Virgilio, per l’amorevole cura con cui il grande poeta si china su Dante e lo accompagna per mano nel cammino. Dante è come un bambino, non un atleta, ma un bambino che trova tutta la sua forza nel riconoscersi bisognoso di un padre. Ma chi oggi è un padre per questi ragazzi? Dove possono trovare negli adulti il loro Virgilio, così da concepire anche solo l’idea di averne bisogno?

3. E l’altra grande scoperta è che alla fine del viaggio, quando Dante è divenuto grazie a Virgilio libero dal proprio male, dal proprio errore, capace di condursi da sé, ciò che lo aspetta non è il regno della propria autodeterminazione, la conquista della propria indipendenza; ma la scoperta di essere ontologicamente relazione d’amore con il Padre che lo genera. La perfezione dell’uomo è dunque perfezione di un’armonia, di una comunione definitiva.

4. Questo cammino è possibile percorrerlo attraverso l’esperienza della realtà, nell’incontro con persone reali, concrete, che si approssimano all’uomo, che gli si manifestano nella vita. Nell’apparenza sensibile, l’esperienza di una rivelazione ontologica, di una verità profonda (“Tanto gentile e tanto onesta pare / la donna mia… e par che sia una cosa venuta / da cielo in terra a miracol mostrare”). È una teoria di nomi e di volti, che compongono una storia, la storia universale e la propria storia personale (Virgilio, Casella, Manfredi, Bonconte, Marco Lombardo, Cacciaguida, Lucia, Beatrice, san Bernardo) verso la salvezza universale e propria personale, verso “l’Amor che move ‘l sole e l’altre stelle”.

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