In un suo noto romanzo, Una barca nel bosco, la scrittrice Paola Mastrocola ci racconta la storia di un ragazzo al primo anno di liceo scientifico che ama il latino. “Della grammatica latina è da due mesi che parliamo (…) Allora ho chiesto al professore quando faremo una versione. Mi ha guardato strano e mi ha detto: ‘poi ne parliamo. (…) Adesso stiamo ricominciando da zero perché molti di voi non l’hanno mai fatto latino, dice, e chi l’ha fatto meglio ancora perché così ripassa. E comunque faremo solo le declinazioni quest’anno, perché noi vogliamo fare un latino agile, flessibile (…)’. L’anno scorso io l’ho già fatto latino con madame Pilou, eravamo arrivati all’ablativo assoluto, la consecutio temporum e le interrogative indirette. Come faccio adesso a tornare indietro? Tutta colpa di madame Pilou, che se mi lasciava stare era meglio”.
Chi era madame Pilou? Era la vecchia e appassionata professoressa di lettere delle medie che aveva insegnato il latino a un promettente e appassionato ragazzino delle medie, anticipando di fatto i contenuti del primo anno di scuola superiore. La collega ha avuto la “fortuna” di avere uno studente “eccezionale”, insomma uno che si sente fuori posto, come una barca nel bosco.
Eppure, ci sono tante esperienze positive di insegnamento della lingua latina nella scuola secondaria di primo grado, normalmente considerata l’anello debole del sistema di istruzione. Dico “debole”, perché Giovanna Fregonara e Orsola Riva un paio di anni or sono hanno fatto un attento “reportage” sulla scuola media generale sul supplemento del Corriere della Sera, La lettura del 24 aprile 2022, che ha permesso di suffraga questa impressione generalizzata.
La recente reintroduzione dello studio del latino, che rimane ovviamente facoltativo, già a partire dalla seconda media può essere interpretato come una rivendicazione politica della destra-centro italiana. Se infatti, si ripercorre, per sommi capi, l’iter storico dello studio della lingua latina nella scuola media italiana, emerge la forte componente identitaria che sta dietro a questa scelta del ministro Valditara, che ha di fatto formalizzato ciò che in realtà veniva organizzato da anni nelle scuole del Belpaese: ovvero il “laboratorio” di latino al di fuori dell’orario curricolare, durante la terza media, per coloro che sarebbero andati al liceo, “quello con il latino”.
Con l’istituzione della scuola media unica, nel 1962, il latino doveva essere parte del curricolo scolastico oppure no? Alla generazione di uomini e donne uscita dal conflitto mondiale, nutrita dalla lupa fascista improntata al neo-imperialismo romano, era ben chiara, per contrappasso, la riflessione di Antonio Gramsci: “Non si imparava il latino e il greco per parlarli, per fare i camerieri, gli interpreti, i corrispondenti commerciali. Si imparava per conoscere direttamente la civiltà dei due popoli, presupposto necessario della civiltà moderna, cioè per essere se stessi e conoscere se stessi consapevolmente”.
Se la lingua latina con la sua cultura aveva un’indubbia valenza formativa, con quale altra materia si sarebbe potuta sostituire nella nascente formula della scuola media? Da una parte si schierarono le forze progressiste (PRI, PSDI e PCI) per destinare l’insegnamento del latino solo alla scuola superiore, mentre le forze conservatrici (DC, PLI, MSI) sostenevano il mantenimento del latino, nel timore di un livellamento al ribasso della cultura e della civiltà della “Nazione”.
Divampò, allora, un lungo e articolato dibattito sull’insegnamento del latino a scuola tra latinisti e pedagogisti che assunse anche connotati politici, facendo “schierare” i partiti: il centrodestra si pose su una linea di difesa del latino, rappresentando una tradizione che voleva conservare ciò che dell’impianto gentiliano aveva lasciato inalterato la riforma Bottai del 1939; la sinistra, invece, con qualche dissenso all’interno, ne auspicava l’eliminazione.
Questa “spaccatura” era il riflesso di visioni diverse di più ampio orizzonte: la prima impostazione, ambendo a una scuola selettiva, denunciava il rischio di un appiattimento che sarebbe derivato da una scuola media “unica” appunto, senza considerare determinante il fatto che per lo più la selezione funzionava nella realtà sulla base di perduranti differenze sociali; la seconda posizione aveva come scopo una scuola media di base uguale per tutti i cittadini, senza valutare gli effetti potenziali ma realistici di tale scelta (il livello culturale non poteva essere mantenuto alto per tutti).
La discussione sul “latino sì, latino no” si protrasse fino al 1962 quando un governo di destra, ma appoggiato dal centrosinistra, decise l’istituzione di una scuola media unica, raggiungendo un compromesso sul latino: la lingua ciceroniana era inserita nel programma di II media ed era facoltativa in III, riservata cioè a coloro che sceglievano di proseguire gli studi. La legge del 1962 fu cambiata e per italiano fu contemplato un “rafforzamento dell’educazione linguistica attraverso un più adeguato sviluppo dell’insegnamento della lingua italiana – con riferimenti alla sua origine latina e alla sua evoluzione storica – e delle lingue straniere” (Legge 16 giugno 1977, n. 348, art. 2), come poi verrà specificato nei programmi della scuola media nel 1979.
Da questa ricostruzione appena accennata emerge come la formalizzazione dello studio facoltativo della lingua latina, che per le nuove generazioni sarebbe del tutto anacronistico rendere obbligatorio, rientri in un disegno di cambiamento della scuola, in un disegno ideologicamente definito. Come ha detto in una recente intervista radiofonica Valditara, “il latino è una palestra di logica ed è alla base della grammatica italiana. Conoscere le basi del latino significa sapersi esprimere meglio. Il latino è il momento di recupero di serietà. Tutto partirà dal 2026/2027, ci vorrà tempo per scrivere i nuovi testi. Siamo convinti che ci sarà una forte adesione”.
Al di là dei proclami politici, occorrerà leggere, nero su bianco, le motivazioni didattico-educative che verranno fuori dalla commissione di esperti per la stesura delle nuove “Indicazioni”. Sarà interessante, alla luce di esse, avviare un’ulteriore riflessione di approfondimento, al di là dell’annuncio del ministro.
Rimane semplicistico e riduttivo affermare come un mantra che il latino è una ginnastica mentale e concorre all’educazione linguistica, in assenza di progetti specifici attuati in aula con un serio monitoraggio nell’ottica della ricerca-azione didattica. Quindi, sui supposti effetti “taumaturgici” del latino, che spesso vengono tirati fuori dai sostenitori, occorre prestare attenzione, per non perdere la bussola: per la maggioranza degli studenti delle scuole medie rimane fondamentale lo studio della lingua italiana e del suo uso corretto nelle quattro abilità di base.
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