Ieri la ministra Azzolina, intervenendo in audizione alla commissione Cultura della Camera, ha affrontato nuovamente alcuni temi caldi di scuola, anche in relazione alla pubblicazione delle attese ordinanze sullo svolgimento degli esami di Stato del primo e del secondo ciclo e per la valutazione finale, nell’anno della Dad.



Torna prepotente il dibattito non solo su come procedere per ammettere o non ammettere alla classe successiva, piuttosto che all’esame stesso, ma anche, ovviamente, su come valutare. Le dichiarazioni e le opinioni si susseguono e, esemplificativamente, si torna a rappresentare l’immagine del 6 politico, tramontato con l’epoca che l’ha concepito e perciò ormai relativo a un’altra idea di scuola.



Ammettere alla classe successiva, ha chiarito la ministra, non significa dare a tutti i nostri studenti una simbolica sufficienza. Ci saranno i voti a differenziare il percorso di ciascuno, per questo essi dovranno essere indicativi dei livelli raggiunti in un’ottica formativa piuttosto che esprimere una valutazione sommativa che non solo non corrisponde alle esigenze peculiari della scuola della Dad, ma anche alla scuola delle competenze e del curricolo. “Non sarà 6 politico. Le insufficienze compariranno, infatti, nel documento di valutazione. E per chi è ammesso alla classe successiva con votazioni inferiori a 6 decimi o, comunque, con livelli di apprendimento non consolidati sarà predisposto dai docenti un pino individualizzato per recuperare, nella prima parte di settembre, quanto non è stato appreso. Il piano sarà legato al Documento di valutazione finale. Resta ferma la possibilità di no ammettere all’anno successivo studentesse e studenti con un quadro carente fin dal primo periodo scolastico”.



Penso francamente che il vero problema sia un altro e  che la realtà ci imponga un cambio di passo. Il problema non sono i bocciati o i promossi. Stiamo attraversando il Mediterraneo e lo stiamo facendo con i gommoni. Con troppa gente sopra e i “mezzi di trasporto” non sempre sono adeguati. Spesso il mare, al largo, è tempestoso. Ce la sentiamo di lasciar annegare anche un solo naufrago/alunno/passeggero? Ce la sentiamo di lanciargli solo un paio di braccioli (la bocciatura per esempio) sperando che riesca a nuotare e mettersi in salvo? E la mia è una idea tutt’altro che romantica del salvataggio e della traversata. O vogliamo portare tutti sulla terraferma e, una volta lì, organizzare l’accoglienza, la collocazione e quanto serve per renderli autonomi nel proseguire verso la “salvezza”?

Perché ciascuno dei nostri alunni ha da recuperare; anche coloro che avranno raggiunto livelli adeguati nel percorso di questo anno speciale, come sappiamo bene che “ripetere” la stessa classe due volte non sempre vuol dire innescare un processo per il quale, automaticamente, si recupera ciò che non si sapeva.

A mia memoria ricordo un solo alunno che mi ha ringraziato per averlo bocciato e per avergli consentito di “passare dall’ultimo banco al primo” e solo perché ci eravamo incaponiti, tutti i docenti del consiglio di classe, a instaurare un relazione efficace con lui. Senza rapporto interpersonale non c’è apprendimento.

E allora, il vero dilemma è come organizzare i recuperi per “fasce di livello”, per ripartire a settembre. Ci sono sistemi scolastici che definiscono le classi in base alle età degli alunni ma poi le “suddividono” in gruppi di lavoro a seconda di quale step di apprendimento è necessario per ciascun gruppo. E i gruppi possono essere organizzati per apprendimenti/competenze da acquisire e non necessariamente all’interno della stessa classe.

Questo è il tempo per cominciare a superare sul serio, nell’esercizio dell’autonomia didattica e organizzativa, l’unità oraria di lezione e la rigidità del gruppo classe. Ma per far questo servono strumenti, aule e docenti, metodologie. Ma, soprattutto, per quest’opera significativa di recupero, servono più docenti. Nel nostro sistema scolastico, di norma, per avere più docenti occorre fare più classi o, dalla legge 107/2015 (“Buona Scuola”) in poi, più organico di potenziamento, individuato dalle scuole sulla base di reali bisogni. E se non fosse possibile avere più risorse professionali, a organico invariato, più o meno, dovremmo “ridurre” il tempo dell’azione didattica, dell’“ora di lezione”, frazionando le classi, oppure organizzando i recuperi per gruppi di livello, a prescindere dalla classe, distribuendo il tempo della presenza e amplificando anche le azioni a distanza. Ovviamente dovremmo ragionare per carico orario annuale e quindi potremmo avere un periodo dell’anno con più tempo scuola e un altro con meno tempo scuola.

C’è da ragionare con molta ponderazione e c’è da trovare soluzioni, anche logistiche,  in maniera concertata, in una prospettiva reticolare. La scuola è un problema del Paese e non dei soli “addetti ai lavori”.

“I sommersi e i salvati” è un saggio di Primo Levi sulla tragedia dei lager nazisti;  la narrazione descrive con lucidità e distacco – nonostante l’autore abbia vissuto direttamente l’esperienza – i meccanismi che portano alla creazione di “zone grigie” di potere tra oppressori e oppressi fino a determinare la replicazione di analoghe dinamiche comportamentali nelle realtà quotidiane odierne. Magari il parallelismo è un po’ forte, ma proprio per questo rende con efficacia l’immagine: questo è il tempo in cui, nonostante tanti nostri alunni continuino a nuotare con lena e tanti altri, non indaghiamo qui i motivi, differenti e numerosi, sono invece “sommersi”, defilati, sfuggenti – la scuola è di tutti e di ciascuno. “Qui habet aures audiendi, audiat”.

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