È un dato di fatto: da alcuni anni il trend di crescita delle scuole paritarie, che fino al 2010 pareva inarrestabile nonostante l’assenza di una completa parità, si è arrestato e trasformato in una penosa e progressiva erosione di studenti e istituti.

Se pochi anni fa la popolazione studentesca di queste scuole superava abbondantemente il milione di iscritti, ad oggi assistiamo ad un ridimensionamento pari a circa il 20%. E la tendenza non pare arrestarsi: nell’anno scolastico 2017/18 le scuole paritarie erano 12.662 e gli alunni totali 879.158; nel successivo, 2018/19, le scuole paritarie si erano ridotte a 12.564 e gli allievi frequentanti a 866.805. Non disponiamo ancora dei dati in tempo reale per l’anno scolastico in corso, ma la sensazione è che si sia in caduta libera.



È una situazione drammatica. Non solo perché si riduce lo spazio per l’esercizio di un diritto sancito anche dalla nostra Costituzione (oltre che dal diritto naturale), ma anche perché nelle scuole paritarie trovano occupazione decine di migliaia di lavoratori, che si vengono a trovare improvvisamente senza lavoro. E di questi nessuno si preoccupa.



Indubbiamente l’assenza di un’effettiva libertà di scelta educativa – dovuta innanzitutto a ragioni di natura economica – penalizza il settore, tanto più che proprio dall’anno 2010 la crisi economica ha gravato pesantemente sulla vita delle famiglie e delle imprese nel nostro paese. I piccoli passi, che grazie a battaglie portate avanti dalle associazioni di settore, sono stati realizzati in questi anni verso una più equa distribuzione delle risorse all’interno del sistema nazionale di istruzione, non hanno sortito significativi effetti positivi, anche perché in realtà non paiono rimosse le resistenze culturali e politiche nei confronti di un’effettiva parità scolastica.



Ultimo esempio al riguardo è quanto è accaduto in questi giorni relativamente ai fondi per gli studenti disabili iscritti alle scuole paritarie. Le associazioni cui fanno capo queste scuole – che al riguardo hanno appena diffuso un comunicato stampa congiunto – avevano richiesto con insistenza un aumento dei fondi destinato a tali studenti. Come è noto, la scuola paritaria è tenuta ad accogliere gli alunni con disabilità e ad assicurare loro l’insegnamento di sostegno, il cui relativo onere economico rimane però quasi integralmente a carico delle famiglie e dell’ente gestore della scuola.  Nonostante ciò, e in controtendenza rispetto ai dati generali, il numero di alunni con disabilità che frequentano le scuole paritarie è costantemente in crescita.

La scelta del Governo è stata quella di rispondere in modo parziale, destinando l’incremento dei fondi (pari a 12,5 milioni di euro) ad un solo settore delle paritarie, quello dell’infanzia (gestito in buona percentuale dai Comuni).

Tale decisione, come sottolinea il comunicato, non solo non corrisponde alle richieste, ma risulta totalmente comprensibile solo alla luce di una radicata avversione nei confronti della scuola non statale in quanto tale. Gli studenti con disabilità, infatti, frequentano scuole paritarie di tutti gli ordini di studi, dall’infanzia alla secondaria di II grado; tra l’altro, nella loro crescita e per il maggior impegno ad essi richiesto, i bisogni crescono con il crescere dell’età. Questa parzialità va a discapito principalmente degli studenti e delle loro famiglie, a dispetto di quanto previsto dalle leggi sui diritti delle persone portatrici di handicap. Siamo ancora una volta di fronte alla palese negazione di un diritto fondamentale della persona universalmente riconosciuto.

Sarebbe scorretto, tuttavia, attribuire le attuali difficoltà solo ad aspetti di natura economica e giuridica. Premesso che una piena e completa parità sarebbe quantomeno un atto di giustizia sociale e di lungimiranza politica (considerato anche il risparmio che le scuole paritarie consentono allo Stato), e che a tale  riguardo l’adozione (come nella sanità) del costo standard di sostenibilità potrebbe rivelarsi il più adeguato, bisogna tenere presente che sul pesante calo degli iscritti alle paritarie incidono oggi anche altri fattori.

Se fino a pochi anni fa ci si poteva concentrare sulla richiesta di una parità economica, o quantomeno di sostegni più adeguati da parte dello Stato, oggi tutto questo non basta più, perché sono intervenuti nuovi e più gravi fattori, come il crollo delle nascite e la dissoluzione dell’istituto familiare.

L’ondata gelida dell’inverno demografico sta già investendo la scuola tutta. Con l’attuale trend negativo nel saldo tra nascite e morti, nel 2050 l’Italia avrà circa 6 milioni di persone in meno in età da lavoro. Significativamente, il presidente dell’istituto di statistica Giancarlo Blangiardo ha evocato il crollo della popolazione registrato negli anni 1917-1918, quelli segnati dalla Grande guerra oltre che dagli effetti dell’epidemia di febbre spagnola. A questo calo supplisce per ora nella scuola statale, almeno in parte, l’apporto di studenti stranieri, mentre nella paritaria nemmeno questo. Occorre farci i conti, senza troppe illusioni: si va verso una drastica contrazione della popolazione giovanile, che inevitabilmente comporterà un riassetto di tutto il sistema di istruzione.

Altro aspetto, ancora più grave perché sta, almeno in parte, a monte dell’inverno demografico, è il dissolvimento della famiglia come istituto tradizionale. I giovani si sposano sempre meno. Qualche dato dall’Istat:  confrontando il 1991 con il 2018, il calo è massimo nella classe di età 25-34 anni: la quota di coniugati scende dal 51,5% al 19,1%, quella delle coniugate dal 69,5% al 34,3%. Nel contempo celibi e nubili crescono di oltre 30 punti percentuali, dal 48,1% all’80,6% e dal 29,2% al 64,9%. A 45-54 anni quasi un uomo su 4 non si è mai sposato (il 24,0% è celibe nel 2018 contro il 9,6% del 1991) mentre è nubile quasi il 18% delle donne (più che raddoppiate rispetto al 1991). Aumentano in tutte le età divorziati e divorziate, più che quadruplicati dal 1991 (da circa 376mila a oltre 1 milione e 672mila), principalmente nella classe 55-64 anni (da 0,8% a 5,3% gli uomini, da 1,0% a 6,4% le donne). Le convivenze, anche tra i giovani cattolici (o almeno dichiaratisi tali) sono sempre più frequenti.

Di fronte a questo desolante scenario, in cui domina la paura di prendersi la responsabilità di fare scelte definitive come sposarsi e mettere al mondo dei figli, o quantomeno un’assenza di speranza di fronte alla vita, come si può “pretendere” che aumentino le iscrizioni alle scuole paritarie, cioè che si facciano dei ragionamenti seri sul valore dell’educazione, tanto più che queste ultime sono a pagamento?

Occorre davvero lavorare per una rinascita complessiva del nostro tessuto sociale, sostenendo e favorendo tutti gli spazi di libertà, di vera educazione, di cura della persona, di sostegno alla famiglia, che ancora (ma per quanto?) grazie a Dio esistono nel nostro paese. È questo il primo e più urgente compito anche della politica.

Se non si farà così, il crollo delle scuole paritarie – non si facciano illusioni coloro che le avversano – sarà solo l’anteprima della rovina di una intera società, di cui tutti pagheremo il conto.