Un governo che ha inscritto la parola “merito” nell’intestazione del dicastero che si occupa della scuola (ministero dell’Istruzione e del Merito) sembra avviato sulla strada della comunicazione diretta, quella per cui non si gira tanto attorno al significato delle parole. È vano, pertanto, attendersi l’uscita della linee programmatiche del ministro Valditara, per il semplice fatto che tali linee sono già state enunciate nel momento in cui il ministro ha dichiarato alla stampa che a suo giudizio le cose più importanti sono: il dimensionamento scolastico, l’orientamento e il rinnovo del contratto.
Si tratta di affermazioni pronunciate in risposta al piano di autonomia differenziata sostenuto da alcuni presidenti di regione (Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna), implicante il passaggio alle regioni delle materie previste all’articolo 117 della Costituzione, compresa l’istruzione. Il nuovo inquilino di Viale Trastevere sembrerebbe glissare rispetto a questo importante snodo (l’autonomia differenziata) del processo politico-istituzionale del Paese. Ma andiamo con ordine.
La prima “cosa” importante per il ministro è il dimensionamento scolastico. In effetti, l’adeguamento dell’offerta formativa alle esigenze dei territori è una delle più importanti caratteristiche di una scuola che intenda essere alla pari con i tempi e non agire ripetendo vecchi moduli. Naturalmente, per “dimensionare” occorre rispettare alcune coordinate fondamentali suggerite sia dalla politica, sia dall’intrinseca vocazione educativa della scuola. Per il 2022/2023, per esempio, è previsto dalla legge (il riferimento è alla 178/2020) che le dimensioni di un’istituzione scolastica, utili ad avere un dirigente, siano di 500 alunni (non più 600 e oltre come prima).
Il dimensionamento, inoltre, è di competenza delle regioni, cui spetta la definizione di nuovi indirizzi scolastici sul tronco di quelli esistenti e l’istituzione di nuovi plessi. Un liceo classico che voglia avviare un indirizzo di enogastronomia, tanto per porre un exemplum fictum, dovrà essere visto con un certo sospetto, mentre non ci sarebbe niente a che ridire se la proposta provenisse da un istituto tecnico o professionale della zona in cui si produce prosecco!
La proliferazione dei corsi e degli indirizzi di ogni genere, ancora poco studiata, ha da una decina d’anni modificato profondamente il volto della scuola italiana, specie nel settore tecnico e professionale. Forse quando il ministro formula il proposito di volersi interessare di questo tema, lo fa con l’intenzione di verificare la ricaduta sui profili in uscita degli alunni della moltiplicazione di offerte di istruzione, tanto interessanti quanto riconducibili, se lo sono, a reali domande di maturazione negli alunni di conoscenze e competenze disciplinari.
La seconda “cosa” con cui vorrebbe sostanziare la sua agenda, il ministro l’ha indicata nell’orientamento. È un argomento che ricorre ad ogni cambio di titolare della pubblica istruzione e da questo nodo, a detta di tanti esperti, deriva il successo o l’insuccesso della proposta didattica. È necessario che gli alunni sappiano scegliere bene, all’inizio di ogni fase scolastica, il percorso successivo. Per farlo, tuttavia, l’offerta deve essere ampia e pluralistica. Non è sufficiente moltiplicare gli indirizzi dei canali statali già esistenti. Occorrerà prendere sul serio la prospettiva di una “vero” canale dell’istruzione professionale in grado di competere con gli istituti tecnici e con il sistema liceale. Occorrerà anche portare a compimento il quadro di una scuola italiana che è pubblica, ma articolata in una branca statale e in una branca non statale. La seconda, invece, si è andata progressivamente impoverendo.
A proposito della terza “cosa” che sta a cuore al ministro, il rinnovo del contratto dei docenti, qualche anticipo lo si è visto con lo sblocco delle risorse che porterà ad aumenti delle retribuzioni nella busta paga di dicembre. Il passaggio è importante, ma non decisivo, posto che il ministro è atteso al varco da temi caldi come i concorsi, la formazione iniziale, l’aggiornamento (obbligatorio sì o no?) e la ridefinizione della figura del “docente esperto”. Detto questo, pare lecito tornare all’autonomia differenziata, scartata dal ministro come argomento troppo “caldo” per essere dipanato nell’immediato. Ma: se non ora, quando?
Si stanno infatti posizionando gli schieramenti e affilando le armi in vista di una disfida tra chi l’istruzione la vorrebbe “tutta” regionale e che invece ne paventa lo scivolamento decentrato. Rispetto ad una scuola italiana che è già profondamente diversificata in indirizzi, la regionalizzazione sostenuta da ambienti della Lega, con apporti emiliani di matrice piddina, quali ulteriori stravolgimenti dei livelli di prestazione essenziale potrebbe comportare? La regionalizzazione (non tanto come livello ulteriore della statalizzazione, ma come compimento dell’autonomia) non potrebbe essere invece una prospettiva da esaminare, alla luce delle difficoltà evidenti in cui si trova l’elefantiaco sistema scolastico italiano? Non varrebbe la pena, per intraprendere questa strada, abbandonare i richiami di una politica troppo affezionata all’idea di una scuola napoleonica, uguale per tutti e senza reale interesse per molti (dunque senza merito), che si mostra inadeguata ai tempi?
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