“[…] Il lavoro del maestro è come quello della massaia, bisogna ogni mattina ricominciare da capo […] Lascio la sera i ragazzi in piena fase di ordine e volontà di sapere – partecipi, infervorati – e li trovo il giorno dopo ricaduti nella freddezza e nell’indifferenza […]. Bisogna tener conto in concreto delle contraddizioni, dell’irrazionale e del puro vivente che è in noi […]. Può educare solo chi sa cosa significa amare”. (P. P. Pasolini, Romans).
Ogni giorno i genitori affidano i loro figli alla scuola, perché vengano amati, rispettati come esseri umani e orientati sul sentiero della vita, proprio come cercano di fare loro a casa.
Ma cosa significa amare i nostri studenti, cosa significa ricominciare daccapo, ogni mattina, come la massaia di Pasolini? Il docente e la scuola sono chiamati a creare le condizioni affinché l’alunno – soprattutto chi vive un particolare disagio – possa sentirsi accolto per quello che egli è. Sull’unicità vocazionale di ogni singolo alunno, Pasolini ha in un certo qual modo anticipato quelle che sono le attuali Indicazioni nazionali, un percorso individualizzato che getta le basi per un nuovo modo di fare scuola, aiutando l’alunno a scoprire “qual è la sua vocazione più autentica e farla diventare una passione”.
Come scrittore e insegnante, Pasolini si è occupato di educazione ed è sempre stato convinto che la scuola, quando non si limita ad essere un “insieme organizzativo e culturale di diseducazione” può diventare un luogo deputato alla crescita dei giovani, di quei ragazzi che lo scrittore friulano aveva tanto a cuore, perché trattati come merce dalla società consumistica, da lui tanto criticata. I giovani sono “vittime” di una sorta di “edonismo consumistico diffuso e incoraggiato nella società dai mass-media, dalla pubblicità, dai rapporti competitivi interpersonali. L’edonismo travolge e sostituisce ogni altro valore del passato […]”. Per Pasolini è la televisione che “intontisce” le menti dei ragazzi – e oggi potremmo aggiungere gli smartphone, Instagram, Facebook, TikTok, ecc. –, allettandoli con programmi senza contenuto e rendendoli “nevrotici e infelici”. Infatti, ancora nel 1975 sul Corriere della Sera Pasolini scrive: “È stata la televisione che ha, praticamente (essa non è che un mezzo), concluso l’era della pietà, e iniziato l’era dell’edonè. Era in cui dei giovani insieme presuntuosi e frustrati a causa della stupidità e insieme dell’irraggiungibilità dei modelli proposti loro dalla scuola e dalla televisione, tendono inarrestabilmente ad essere o aggressivi fino alla delinquenza o passivi fino alla infelicità (che non è una colpa minore)”. La televisione e la società educano ad “avere, possedere e distruggere”, come ripete ostinatamente Pasolini in un’intervista a Furio Colombo.
Cosa può sostituire questo tipo di distrazione nelle nostre aule scolastiche, oggi come ieri? L’attrazione per una lezione che apra i cuori e le menti dei nostri studenti; una lezione che sia lettura della realtà, invito alla scoperta di tutto ciò che ci circonda, ma soprattutto delle reali inclinazioni degli studenti; un tipo di didattica orientativa che renda gli alunni più consapevoli, partecipi e protagonisti dell’apprendimento. In definitiva, la scuola ha il compito di educare a riconoscere e a saper dire la verità, a diventare uomini liberi; deve insegnare a sviluppare la capacità critica, a non lasciarsi intrappolare nelle ideologie di qualsivoglia natura.
Pasolini, a giusta ragione, è convinto che le armi della cultura combattono ogni fanatismo, educano alla meraviglia e alla bellezza. Solo con la cultura è possibile la felicità, così come insegna all’immaginario giovane partenopeo, Gennariello.
Un rischio per le nostre giovani generazioni è quello dell’alienazione dalla realtà. Pasolini era innamorato della vita ed era presente alla sua storia; infatti, dice di se stesso sul Corriere della Sera del 14 novembre 1974: “Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace […]”.
Occorre, però, che il gusto per le cose, la passione per la realtà nella sua interezza, e non il mero nozionismo, tornino ad essere protagonisti delle ore di lezione e siano trasmessi da veri maestri. Sulla figura del docente, inoltre, Pasolini è tranchant! Loro possono essere “diseducatori” o veri “educatori”; in Gennariello, afferma: “Se qualcuno, invece, ti avesse educato, non potrebbe averlo fatto che col suo essere, non col suo parlare. Cioè, col suo amore o la sua possibilità di amore […]”. Un vero insegnante ama il suo allievo se lo aiuta a scoprire la sua intelligenza, che è fatta per rinvenire nel mondo la verità. La scuola agisce veramente quando attraverso i progetti che mette in campo, la didattica e le svariate attività curriculari ed extracurriculari che offre, permette agli studenti di fare esperienza di cultura, cioè di loro stessi, della loro coscienza, del perché delle cose. Per questo motivo, in Scolari e libri di testo Pasolini sostiene: “L’insegnante […] deve svegliare nell’alunno la coscienza dell’intelligenza; da qui nascerà la voglia di studiare. […] Bisogna provocare la curiosità, poi qualsiasi obiettivo è buono […]”.
È molto interessante l’intuizione di Pasolini, che è decisamente attuale anche ai nostri giorni: la scuola è fatta di maestri che hanno il compito di rendere felici i loro studenti, aiutandoli a scoprire la verità, aprendoli alla totalità della realtà e non alle ideologie, sostenendoli nel possesso del mondo. Occorre insegnare semplicemente a vedere e a sentire la “sacralità della vita”, ritornare ad amare e a riconoscere gli oggetti, le cose, le esperienze che non sono imposte dalla moda, dai social, ma che si trovano, come delle evidenze oggettive, nella storia individuale di ciascuno. A Gennariello, infatti, dirà: “[…] il fondo del mio insegnamento consisterà nel convincerti a non temere la sacralità e i sentimenti, di cui il laicismo consumistico ha privato gli uomini trasformandoli in bruti e stupidi adoratori di feticci […]”. Ancora in Gennariello: “[…] Si tratta soltanto di un diverso piano culturale. È il possesso culturale del mondo che dà la felicità. Non lasciarti tentare dai campioni dell’infelicità […] Sii allegro”. È soprattutto questo l’intento educativo di Pasolini, ed è anche l’obiettivo delle attuali attività previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che puntano alla trasformazione delle classi tradizionali in ambiti innovativi di apprendimento e alla realizzazione di laboratori e di azioni di contrasto alla dispersione scolastica. Infatti, quest’anno le scuole hanno presentato più di 8mila progetti per ambienti innovativi e più di 3mila per l’orientamento: percorsi di mentoring e orientamento, percorsi di potenziamento delle competenze di base, attività formative co-curriculari ecc.
L’importanza di dare spazio alla curiosità e all’inventiva, alla relazione educativa tra maestro e allievo intrisa di amore, ma anche di rispetto per la sua intelligenza, è ciò che Pier Paolo Pasolini ha saputo anticipare nei suoi scritti. Non possiamo trascurare i nostri allievi, che si mostrano sempre più fragili e indifesi: i giovani hanno bisogno di adulti che attraverso la loro cultura e la loro attenzione non li facciano smarrire. A loro basta un solo istante di trascuratezza per perdersi definitivamente, come afferma nei versi de La presenza: “[…] Eppure lei, lei la bambina/ basta che per un solo istante sia trascurata, / si sente perduta per sempre […]”.
Il giovane maestro Pasolini sente l’importanza della reciprocità come veicolo di insegnamento: condivisione di vita con i ragazzi, a cui non solo insegnava la grammatica ma con cui giocava a calcio, e ai cui occhi appariva giovane e soprattutto “povero” come loro. Anche nell’ultimo film sulla scuola, La sala professori, presentato al Festival di Berlino 2023, il regista Ilker Catak punta i suoi riflettori su un sistema scolastico in cui gli insegnanti devono tornare ad interessarsi dei ragazzi e dei loro veri problemi, anziché preoccuparsi di far rispettare particolari procedure.
Tutto ciò che la scuola mette in campo porta frutto se è compiuto per il bene dei ragazzi, se serve a far “splendere” il Gennariello di Pasolini e gli studenti di oggi: “[…] ti insegneranno a non splendere. E tu splendi, invece, Gennariello”.
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