La scuola italiana ha bisogno di interventi massicci e strutturali. Chi non è all’interno delle questioni non vede i cambiamenti epocali. Il nichilismo non è più soltanto una parola, ma una vera e propria emergenza educativa.
Genitori che hanno abdicato al loro ruolo educativo nel nome di un accordo tacito e continuo con i figli per ottenere la promozione senza danno. Madri agguerrite che sembrano difensori civici, sostenute da psicopedagogiste, insegnanti privati e docenti conniventi. Aumento di tutele e caveat continui con nuove circolari, in cui potrebbe ripetere l’anno solo il mostro di Loch Ness, naturalmente se non certificato con una diagnosi di trauma infantile. Alunni sempre più fragili e attenti a telefonini e media. Pressioni sociali ai docenti con aumento smisurato della burocrazia, per evitare la mitica denuncia o il possibile ricorso. Una scuola chiusa in difesa e catenacciara. Una partita della vita che mira allo zero a zero con tanto tatticismo. E sindacati sempre sull’orlo di guerra per appiattire, livellare e omogeneizzare. Patti impliciti con il ministero: poca paga, poco lavoro, solo burocrazia e acronimi.
Ma perché un settore strategico per il Paese è stato lasciato andare? Perché vince sempre il conservatorismo che non fa crescere? La scuola delle competenze nullifica le competenze dei docenti. Un tempo il docente che continuava a studiare e a ricercare era profondamente stimato. Ora non più. L’importante è che sia bravo a dribblare polemiche e genitori iperprotettivi. Il sindacato dominante ha poi sempre rifiutato la differenziazione delle carriere. È stato bocciato il concorsone di Berlinguer e poi il bonus di Renzi per l’insegnante meritevole. Eppure tutti sanno che c’è chi nelle scuole fa tanto perché vuole fare tanto e chi si limita all’ordinaria amministrazione. Ma per il nostro sistema ormai obsoleto tutti ricevono la stessa paga. Perciò, tra dirigente e docente non ci sono ruoli intermedi, non c’è “scheletro” e dunque non c’è movimento e innovazione.
La scuola è l’esempio della palude immobilistica del todos caballeros, in cui prevale il “sanza ’nfamia e sanza lodo”. Ma come si sa, i tiepidi saranno vomitati. E di fronte alle sfide attuali, sono necessari cambiamenti radicali. Come affrontare, infatti, l’integrazione di tanti studenti di origine non italiana? Come stare di fronte a una generazione attratta dal virtuale? Come porsi di fronte al collasso educativo in atto?
Di fronte, a una crisi in cui non si fanno mai scelte vere, è necessario che gli insegnanti comunichino le loro buone pratiche. Che dicano che un’altra scuola è possibile e va riconosciuta. Certamente chi è rimasto al secolo scorso non lo farà. Ma insegnare significa segnare dentro, non puntare allo zero a zero.
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