L’attuale situazione pandemica sta mettendo in luce problemi strutturali della scuola italiana. Non si tratta solo della guida di un ministero strategico affidata a una giovane senza una significativa esperienza politica, figlia di una formazione capeggiata da un capocomico filocinese. La questione è purtroppo ben precedente. Cosa succede, dunque?



Il ministro emana norme per salvaguardare la propria tutela legale e lancia la palla ai dirigenti scolastici, che spaventati a loro volta la rilanciano ai docenti. Si susseguono perciò norme e regole, incontri che hanno un unico fine: evitare la denuncia. Eh già, la prima regola nel periodo del coronavirus non è la sfida epocale da affrontare, ma evitare sanzioni. Detto altrimenti, ciò che Dostoevskij aveva profeticamente intravisto, cioè la riduzione della totalità della ragione a sola ragione giuridica è diventata communis opinio.



Da Tangentopoli al vaffa day fino al giustizialismo da bar il giudizio è chiaro. Bisogna evitare reati, laddove la parola reato assume un campo semantico incerto, ma piuttosto vasto, e rispettare la legge, che a tempo e a luogo, promuoverà i nostri capricci e i nostri sogni più strani, se supportati dalle lobbies radical chic.

Ma il problema non è solo questo. I docenti sono afflitti, soprattutto in questo periodo, da una sorta di bullismo burocratico. Si proliferano riunioni su griglie di valutazione, incontri su Meet per Rav, Ptof e altre sigle promosse da ignote correnti pseudopedagogiche, mentre qualcuno sentenzia che è giunta l’ora della flipped room e della multimedialità. Naturalmente qualche fobico-ossessivo plaude contento alla Dad, che finalmente mette distanza tra alunno e docente, rendendo il rapporto più asettico e meno emotivo. Tutta questa pletora di nullismo pedagogico ha dei punti di partenza teorici che ora vanno messi a nudo. Chi ha detto che la filosofia dell’educazione deve essere ridotta a docimologia? Chi ha detto che le domande dell’adolescente debbano essere ignorate e affrontate con un algido tecnicismo? Si può discutere sui presupposti teorici che da anni e ben prima del ministro Azzolina si impongono ai docenti o è vietato? L’impianto dogmatico che non è mai stato sottoposto a giudizio critico sta mostrando tutta la sua insufficienza teorica.



Cognitivismo, costruttivismo e altre correnti della dogmatica non tengono conto di un termine piccolo, ma significativo: l’io. Nessuno in questo periodo parla della sofferenza psichica di studenti e docenti, né vengono attivate vere azioni di aiuto. In effetti, se l’uomo è un uomo tecnico perché dovrebbe avere una psiche? E d’altro canto perché porsi domande sul senso della vita e della morte? Si tratta di far le cose bene e in modo preciso: programmazione, lezione come se nulla fosse, scrupolosa accettazione delle norme. Ma in questo tempo, le finzioni dell’uomo tecnico non bastano più: le domande lacerano. Bisogna ripartire, perciò, dalle vere domande degli studenti e nostre per affrontare un anno così incerto.  La posta in gioco è troppo alta per cedere il passo al sapiente spettatore pronto a dare consigli tecnici a chi sta  giocando la partita sul campo.