Lunedì 21 febbraio c’è stato, all’interno dei Pomeriggi Maturandi organizzati da Portofranco Milano, un incontro con Gemma Capra, moglie del commissario Luigi Calabresi assassinato il 17 maggio 1972. L’incontro è stato pensato nella prospettiva che hanno quest’anno i momenti dei Pomeriggi Maturandi, quella di incontrare testimoni che avendo vissuto una situazione ne sanno riconoscere e comunicare il valore, nella logica che la conoscenza viene generata da un’esperienza, perché si conosce vivendo.
Lo ha spiegato all’inizio dell’incontro Alberto Bonfanti, presidente di Portofranco, che ha così indicato le ragioni dell’invito di Gemma nella prospettiva dell’esame di maturità.
Il periodo in cui la vita della signora Capra è cambiata radicalmente è stato un momento tragico per tutta la società italiana, segnata in ogni sua parte dallo scontro ideologico e di questo il terrorismo è stato la punta estrema. Per conoscere quel periodo, come ogni altro periodo ai giovani non bastano le analisi; a spalancare la conoscenza sono persone che hanno vissuto quei fatti con la coscienza di cos’era in gioco. Per questo è stata chiamata Gemma Capra, per testimoniare cosa significhi veramente conoscere, per aprire gli occhi alla realtà. Una sfida al modo con cui nella scuola si intende conoscere, una sfida a cogliere che per conoscere non basta analizzare. Per conoscere bisogna amare il proprio destino e quello degli altri.
Gemma ha iniziato la sua testimonianza parlando delle 9.15 del 17 maggio 1972, il giorno in cui un commando terroristico ha assassinato il marito, il commissario Calabresi, accusato ingiustamente di aver ucciso l’anarchico Pinelli. Ha raccontato di quel dramma che è entrato dirompente dentro la sua vita per dire che il perdono è un cammino, è frutto di un lavoro che si fa su di sé e che passa attraverso le ferite e le sofferenze dell’esistenza. “Io non ho perdonato subito” ha detto e ha poi raccontato come da incontri, da osservazioni di bambini, da esperienze è maturato in lei quel perdono che le è venuto da una forza interiore, dalla sensazione di poter riuscire a vivere quel dramma così forte, e che l’ha portata a dire al suo parroco accorso quasi immediatamente dopo l’assassinio: “Diciamo una preghiera per la famiglia dell’assassino che ha un dolore più grande del mio”.
Da quel momento la fede è diventata una scelta, per la vedova Calabresi, e la fede non toglie il dolore ma lo fa vivere. Così ha accettato di mettere sul necrologio del marito la frase di Gesù “Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Una scelta che ha segnato la sua vita e l’educazione dei suoi figli, la scelta di spezzare la catena d’odio che in quei durissimi tempi opprimeva la società italiana e che in modo più o meno profondo colpiva tutti gli italiani. Gemma Capra invece quell’odio lo ha cominciato a vincere in sé per poi affrontarlo dovunque con la certezza che il perdono è un dono che ci fa Dio e che lo si dà con il cuore, lo si offre con amore.
Nel suo cammino e in modo particolare grazie all’incontro con alcuni carcerati di Padova ha colto un fattore decisivo che l’ha cambiata profondamente. Il metodo dei terroristi in quegli anni era quello di disumanizzare la persona che volevano colpire: lo facevano diventare un simbolo così da poterlo eliminare, autoconvincendosi di essere nel giusto. Gemma Capra si è resa conto che anche lei faceva così, considerava i terroristi degli assassini, e in questo modo non riconosceva la loro umanità, prima di essere assassini erano figli, mariti, padri. “Ho ridato loro la propria umanità”, ha detto in uno dei momenti più toccanti dell’incontro in cui si è colta la profondità del gesto di perdonare. Ridare a chi l’ha persa la sua umanità, questo è perdonare, riconoscere che l’altro non è definito dal gesto che ha compiuto, è di più. Questa capacità viene da un Altro e Gemma Capra lo ha testimoniato in ogni sua parola. Gemma Capra porta nel suo cuore una grande pace che viene da Dio, la pace che chiede ogni giorno per gli assassini di suo marito.
In questo cammino ha scoperto una cosa chiara e indubitabile, che senza gli altri non sarebbe riuscita a perdonare. Per lei gli altri sono importantissimi, perché la sofferenza come la gioia va condivisa. La preghiera è l’altro cardine del suo cammino di conquista del perdono.
È seguito un dialogo molto ricco con gli studenti e le studentesse, che da una parte hanno fatto domande anche molto semplici – ad esempio, perché il commissario Calabresi è stato ucciso –, dall’altra parte hanno voluto capire da dove venisse sia la sua forza di vivere e di educare da sola i suoi figli, sia il coraggio di perdonare. I ragazzi e le ragazze sono stati colpiti dalla sua testimonianza e tutti lo hanno detto, ma non si sono fermati alla loro emozione: le loro domande erano l’indizio di un desiderio di capire dove poggiasse tanta forza non facilmente rinvenibile oggi tra gli adulti.
Nel dialogo, Gemma ha avuto così l’occasione di raccontare tanti fatti, come l’incontro con la vedova di Pinelli, o l’albero piantato sotto casa sua; l’incontro con Marino, che ha guidato l’auto degli assassini, o lo struggimento per la figlia di Bompressi e la richiesta di grazia; il dialogo di suo figlio con uno degli assassini. Raccontando tutti questi fatti, Gemma ha indicato una certezza da brividi: Dio va veramente da tutti, apre per ogni uomo la speranza di ritrovare la sua umanità.
Così Gemma Capra ha testimoniato un modo di stare dentro il tempo storico, senza farsi travolgere ma essendone protagonisti. Quando una persona ha a cuore se stessa capisce la questione seria del suo tempo, e questo i ragazzi di Portofranco lo hanno afferrato benissimo.
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