Ieri mattina, al risveglio, abbiamo tutti letto la notizia dell’accordo raggiunto, in un vertice notturno fra il governo e le forze di maggioranza, sul concorso straordinario. La scuola da decenni è abituata che leggi, riforme o modifiche importanti vengano fatte – da governanti di qualsiasi colore politico – quando i docenti sono in ferie (le famose leggine di agosto) o quando dormono (vertice convocato alle ore 23 di una domenica sera).
Che cosa c’è in gioco questa volta?
La scuola italiana in periodo di pandemia-fase 2; l’avvio dell’anno scolastico 2020/2021; il reclutamento attraverso il concorso straordinario di 24mila (+8mila) docenti.
Il Dlgs 22/2020 è ormai da diversi giorni in discussione al Senato, per poi passare alla Camera dove dovrà essere convertito in legge entro e non oltre il 7 giugno, pena il decadere di tutto quanto è previsto dal decreto legislativo medesimo anche in tema di valutazione ed esami di Stato.
Il nodo principale da sciogliere era il reclutamento dei docenti con almeno 3 anni di servizio (precari) che in questi anni hanno permesso con il loro lavoro il regolare svolgimento delle attività scolastiche.
A dicembre 2019, con il decreto legge 126, dopo numerose modifiche sembrava che finalmente fosse stata posta la pietra angolare da cui partire per il reclutamento di tutto il personale della scuola: sono stati banditi i concorsi ordinario, straordinario per il ruolo e straordinario abilitante.
Poi nella storia del mondo, da fine febbraio 2020, entra un imprevisto: un virus violentissimo, il Covid-19, stravolge l’ordinarietà della nostra vita personale, sociale, economica e istituzionale.
Uno dei provvedimenti per far fronte a questo virus è il distanziamento sociale. Come conciliare questa necessità con l’espletamento di concorsi che fino ad oggi hanno visto sedute nella stessa aula 20/25 persone per un minimo di 4 ore e un massimo di 6 ore? Quale strada percorrere?
È vero che la nostra Costituzione all’articolo 97 recita “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”, ma è anche vero che da decenni in Italia l’assunzione nel mondo della scuola è avvenuta anche tramite graduatoria (concorso per soli titoli).
Ci sorge una domanda: se questo accordo raggiunto per il passaggio in Senato dovesse reggere (come sarà sicuramente) anche alla Camera, di fatto andrebbe a modificare il Dl 126/2019 di dicembre; quindi il ministero dovrà riscrivere i bandi-decreti delle due procedure straordinarie (ruolo e solo abilitazione), per ritornare poi al Cspi per il previsto parere. Sarà necessario, quindi, modificare anche le date di apertura e chiusura delle funzioni per le domande, che probabilmente slitteranno e andranno a sovrapporsi a quelle dell’ordinario con conseguente slittamento della prova a non prima di ottobre, a scuola già iniziata.
In un periodo di straordinarietà come l’attuale non si può continuare ad agire con modalità “ordinarie”; occorre mettere in campo tutti i “pensieri divergenti”, di guilfordiana memoria, di cui si è capaci.
Allo stato dei fatti continuare a nascondersi dietro un rigorismo inattuabile significa, da una parte, non voler riconoscere che comunque la scuola ricomincerà necessariamente con gli stessi supplenti ancora da valutare e, dall’altra, creare a concorso concluso balletti di cattedre che sono un danno grave per gli studenti.
Ora più che mai, le persone che amano la propria professione e i propri alunni chiedono alle istituzioni e ai politici che il mondo della scuola sia tolto da questo momento di impasse, che di fatto crea incertezza sia sull’oggi che sul domani (già da settembre 2020).