Si potrebbe dire che Il desiderio e l’allodola. Etimologie: l’attrattiva delle parole (Itaca 2022), l’ultimo lavoro di Roberto Filippetti, sia stato fortemente voluto e quasi richiesto dai suoi numerosissimi lettori, che lo seguono fedelmente da decenni, leggendo i suoi libri di letteratura e di arte, ma anche assistendo alle migliaia di conferenze o di visite guidate che Filippetti, instancabile apostolo della bellezza, ha accumulato nei suoi tours su e giù lungo la Penisola e anche all’estero, a cui si aggiungono in questi ultimi anni le risorse del web.
Prova ne sia che il libro ha presto esaurito la prima edizione, andando ad aggiungersi a tanti altri fortunati titoli dell’autore, che spaziano da Ungaretti a Pirandello, a Foscolo, a Leopardi e a Manzoni, alle fiabe, agli studi sulla letteratura italiana ed europea, raccolti ne Il per-corso e i percorsi, utilissimo sussidio didattico per tanti docenti; e soprattutto, in questi ultimi anni, ad artisti quali Giotto (a cui ha dedicato il fondamentale L’Avvenimento secondo Giotto, poi declinato in vari approfondimenti fino alla recente completa guida iconologica Giotto, la Cappella degli Scrovegni), Caravaggio e Van Gogh.
Appassionato fin da ragazzo di etimologia, Filippetti ha disseminato le sue osservazioni lessicali in tutti i suoi libri, non certo per mera erudizione o accademica filologia, ma come chiave interpretativa di tante opere d’arte. Tutte queste folgoranti osservazioni si trovavano però sparse in tanti volumi: ora le leggiamo ordinatamente raccolte in un prontuario, vero livre de chevet, come dice l’autore stesso nella prefazione, dal quale l’insegnante, lo studente o il semplice curioso possono attingere come da un pozzo inesauribile.
Attraverso la parola, possiamo “guardare la profondità del reale e sapervi ‘cogliere dentro’ l’intimo segreto”: scandagliare l’etimologia significa allora “rendere patente la verità che era latente al fondo della parola”, chiosa ancora lo studioso. Fra le tante etimologie proposte, scegliamo quella più nota e affascinante che Filippetti ha insegnato in migliaia di occasioni: de-siderio, mancanza e quindi bisogno di stelle: “mi sono allontanato dalle stelle, quelle stelle da cui provengo e a cui anelo”.
Felice scelta dell’autore è stata quella di concludere ogni capitolo con una pagina di poesia. L’analisi linguistica, nel suo ricchissimo dispiegarsi, potrebbe lasciare quasi storditi, ma sono i poeti a dare intensità e incanto alle parole, rivelandone l’infinita risonanza, come nel caso di Ungaretti: “Quando trovo / in questo mio silenzio / una parola / scavata è nella mia vita / come un abisso”. Filippetti riprende in esergo una frase del suo maestro di fede e di cultura don Luigi Giussani, secondo cui “le parole sono l’unica sorgente del vero pensiero”: potente attrattiva della bellezza che ci conduce alla verità.
La sapienza educativa di Roberto Filippetti ci fa pensare al maestro Manzi, che negli anni 60 strappò all’analfabetismo milioni di italiani attraverso una famosa trasmissione televisiva, Non è mai troppo tardi: si tratterebbe oggi di far gustare al nostro popolo la gioia e la bellezza della nostra lingua e della nostra poesia.
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