Quando una notizia che di per sé dovrebbe attirare solo gli addetti ai lavori diventa di interesse generale, approdando perfino sui tg nazionali, vuol dire che è proprio clamorosa.

Che il 90% di aspiranti docenti sia stato bocciato ad un concorso è appunto un fatto che non può non suscitare clamore. A fine marzo ha cominciato a circolare con insistenza la notizia che nel concorso ordinario per la scuola in corso di svolgimento, dei circa 500mila aspiranti a una cattedra di scuola secondaria il 90% non aveva superato la prova scritta. La percentuale va ovviamente analizzata, contestualizzata, documentata, ma pur se approssimato, il dato resta e lascia spiazzati.



Stiamo parlando di coloro che aspiravano a diventare i maestri ai quali affidare la formazione e l’educazione dei giovani. Secondo le prove d’esame, costoro sarebbero stati in larghissima parte non idonei a farlo. Oppure, ipotesi altrettanto inquietante, lo strumento selettivo utilizzato sarebbe stato inadeguato allo scopo. La stima che ho per tanti potenziali colleghi, per gli studi da loro compiuti, per le istituzioni accademiche da cui provengono, mi fanno propendere per la seconda ipotesi. Sì, è una ragionevole stima a priori!                                                                                                                                                                    



La notizia dei docenti bocciati, comunque, dopo qualche giorno è uscita dal radar dell’informazione pop e la questione del reclutamento dei docenti è tornata nei ranghi degli addetti ai lavori. Il mondo della scuola infatti sa che sono in arrivo le nuove normative in materia di formazione e reclutamento degli insegnanti delle scuole secondarie. L’ormai noto Pnrr infatti (il Piano nazionale di ripresa e resilienza) al capo VIII del decreto legge del 30 aprile 2022, n. 36, si occupa di istruzione. Le ingenti risorse che la scuola si troverà a gestire saranno investite nella riorganizzazione strutturale della rete scolastica, nella formazione e nelle procedure di reclutamento del personale e nell’orientamento, andando anche ad intervenire sull’annosa questione del rapporto tra scuola e mondo del lavoro e sul riordino degli istituti tecnici e professionali. Tutti temi sui quali esperti, sindacati e associazioni di categoria hanno già scaldato i motori della riflessione e del dibattito.



Ancora una volta riforme all’orizzonte. E tante domande. Che nascono da uno sguardo pieno di trepidazione davanti a quegli studenti che vediamo spesso disamorati, senza prospettive, magari anche disposti a studiare per arrivare in fondo ad un percorso oltre il quale però è difficile intravvedere un futuro. Giovani a cui manca lo scopo. “Se manca lo scopo – come dice Umberto Galimberti nel suo recente dialogo con Julián Carrón pubblicato da Piemme col titolo Credere – il futuro non è più una promessa, ma è imprevedibile e non retroagisce come motivazione. Se manca la risposta al perché: perché mi devo impegnare? Perché mi devo dare da fare? È proprio questo che sentono i nostri giovani”. E Carrón gli fa eco: “i giovani se non fanno esperienza nel presente di qualcosa che li attira, si perdono. Manca loro lo scopo e manca il perché”.

Siamo in tempi di emergenza educativa. Non è facile intercettare le domande e il desiderio dei giovani. Ma nessuno, credo, può sottrarsi alla responsabilità di fronte a tale emergenza. Anche la riorganizzazione della scuola e il reclutamento degli insegnanti possono contribuire a creare le condizioni perché i giovani incontrino qualcosa che li attrae. Ci sono risorse ed esperienze da mettere in campo!

Quale spazio, ad esempio, avrà l’autonomia delle scuole? Quell’autonomia che la legge voluta dal ministro Berlinguer aveva sancito e che aveva poi aperto la strada alle scuole paritarie? In tempi “poveri” di proposte culturali ed educative il contributo che può venire da ogni realtà presente sul territorio dovrebbe essere custodito come un bene prezioso.

E ancora, in un mondo dominato dalla frenesia compulsiva di informare e comunicare, la scuola sarà un luogo dove la cultura “accade” come avvenimento di scoperta e di conoscenza? E poi, se guardiamo i giovani che oggi hanno sempre meno ottimismo di fronte alle prospettive lavorative cui lo studio li può aprire, sapremo adeguare i percorsi formativi alle nuove esigenze del mondo del lavoro, con il gusto di lasciarci sfidare dalla novità che la realtà ci mette davanti?

E infine, come tirar su persone capaci di stare in un mondo in cui i tempi dell’innovazione sono vertiginosi e in cui sempre più frequentemente si crea un mismatch tra le competenze richieste e quelle disponibili sul mercato? Forse le competenze cognitive, strettamente connesse alle discipline scolastiche, non sono più sufficienti. Il World Economic Forum indica infatti come decisive per i prossimi anni le competenze trasversali, non cognitive skills: problem solving, flessibilità, capacità critica, creatività, stabilità emotiva, attitudine a lavorare con gli altri. Competenze per le quali peraltro la Camera dei deputati ha appena approvato un progetto di legge che ne prevede una sperimentazione già dal prossimo anno.

Quali insegnanti sapranno stare di fronte a queste sfide? Ancora una volta, ciò che farà la differenza saranno le relazioni, i rapporti, i luoghi dove lavorare insieme. I nuovi percorsi di formazione e reclutamento prevedono situazioni relazionali: università, esami, tirocini, tutoraggi, scuole di alta formazione. Tutte opportunità perché si creino luoghi dove condividere con altri la passione per le proprie discipline e per il loro insegnamento. Con il gusto di aspettare ancora l’imprevisto di un incontro, un’amicizia, un tutor, un collega, un dirigente, da guardare con stupore e con cui mettersi insieme a costruire la scuola.

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