L’articolo di Riccardo Prando pubblicato lo scorso 19 aprile solleva, tra le altre, l’interessante questione – troppo spesso ignorata – dei libri di testo scolastici e del loro uso. Essendo io parte in causa in quanto coautore di un manuale di storia per la secondaria di primo grado (A. Grittini, L. Franceschini, R. Ronza, Narrare la storia, Itaca) provo a condividere alcune mie riflessioni sul tema.
È indubitabile che in questi ultimi anni (forse qualche decennio) i manuali scolastici, parlo in questo caso dei testi di storia per la scuola media di cui ho diretta esperienza, hanno conosciuto quel processo ben descritto da Prando nei suoi esiti: riduzione di pagine, discorso semplificato al massimo, assenza non di rado di nessi logici tra un concetto e l’altro, uso abbondante di immagini, facilitazioni lessicali, uso di frequenti riassuntini, esercizi a crocette ecc. A questi aggiungerei l’uso pervasivo di sottolineature ed evidenziazioni più o meno colorate, box e riquadri, link e rimandi. Sono diventati simili, mi si passi l’esempio, a dei luna park colorati, con luci, lustrini e cotillons, e con molti punti di contatto con fumetti o videogames e pagine web.
Questo processo è avvenuto spesso col consenso dei docenti che, con la motivazione che “oggi i ragazzi non sono più quelli di una volta”, hanno accettato, qualcuno convintamente, molti in modo tacito e passivo, tale evoluzione. C’è però da chiedersi se tutto sia veramente così pacifico, se questi testi “luna park” siano effettivamente utili a far crescere i ragazzi nello studio, ad appassionarli e motivarli, a irrobustirli nelle competenze logiche e conoscitive. Testi come questi facilitano veramente la concentrazione, l’attenzione, la lettura approfondita, l’assimilazione e la riflessione critica, il potenziamento delle competenze lessicali, dialettiche ed espositive? O non contribuiscono anch’essi a creare quella distrazione, assimilazione superficiale e frettolosa, fragilità di ragionamento di cui poi tutti ci lamentiamo?
La mia esperienza mi fa dire di sì, mi fa dire che testi di questo genere non sono la soluzione al problema delle difficoltà e carenze di studio dei ragazzi, ma sono parte del problema stesso. Ho capito questo una volta in cui un mio alunno, girando la pagina di uno di questi testi e trovandosi davanti un foglio fitto di rimandi, riquadri, box, mappe, disegni e illustrazioni al punto che il testo-base scompariva, mi ha chiesto “Prof, da dove si deve riprendere a leggere?”.
Se diciamo che i ragazzi faticano sempre più a leggere, non sanno più concentrarsi, non sanno andare oltre l’istante, non sanno più sviluppare concetti e ragionamenti astratti e vivono solo dell’immagine, e se siamo convinti che questi siano dei difetti, allora cerchiamo delle contromisure a partire anche da libri di testo realmente alternativi. Se è vero quanto sostiene McLuhan, e io lo credo, allora non si può più veicolare un messaggio “giusto” (dei validi contenuti storici, ad esempio) con un mezzo “sbagliato”, perché il mezzo sbagliato rende sbagliato anche il contenuto (mi si scusi la semplificazione ma è per farmi capire).
A volte, e ne ho avuto esperienza diretta nei miei molti contatti con i docenti, si ha l’impressione che anche nelle scuole paritarie di ispirazione cattolica ci si curi certamente molto dei contenuti, ma si dia per scontato che gli strumenti dei manuali in uso siano i più adeguati a veicolarli, senza mettersi in posizione critica e cercare alternative. In realtà, invece, le alternative si possono trovare. Si può provare a creare manuali in cui la concentrazione, la lettura, la concettualizzazione, la memorizzazione, l’approfondimento delle competenze lessicali siano curate in modo particolare, siano guidate, evitando le distrazioni, gli appiattimenti e le distorsioni di cui prima si è parlato (è quello che con i colleghi coautori abbiamo tentato di fare col manuale che sopra ho citato).
Per tornare all’immagine da cui sono partito, si può contrapporre ai libri “luna park” libri che diano più l’idea dei musei che, al di là delle sciocchezze dette dai Futuristi del secolo scorso, rimangono dei luoghi reali di avvicinamento alla cultura. Libri che, proprio come avviene in un museo, permettano di mettersi con calma davanti all’oggetto da studiare, senza la fretta di correre avanti, senza eccessive semplificazioni, in un silenzio della pagina (senza quindi colori, box, immagini più o meno leggibili, link e altro) che favorisca la concentrazione, il ragionamento, la memorizzazione, e senza l’onnipresente preoccupazione del “fare” (esercizi, grafici, tabelle, powerpoint ecc.). Naturalmente senza arrivare agli eccessi dei libri anni 50-60 ricordati da Prando nel suo intervento. Certo, come per visitare un museo e cogliere tutto il valore delle opere esposte serve una guida attenta e preparata, così per accostarsi ad un libro di tal genere serve un docente che faccia da guida, che faccia da mediatore tra il testo e l’allievo.
Un manuale scolastico è sicuramente un’arma ben debole rispetto alla pesante influenza che la società e il mondo dei mezzi di mezzi di comunicazione hanno sui ragazzi (a volte si ha l’impressione che ci si trovi a fermare una valanga con le mani), ma la scuola non può rinunciare ad essere alternativa a questo mondo. Nella mia esperienza, lavorando in questa direzione, qualche esito positivo posso dire di averlo ottenuto. E se anche i risultati faticassero a venire, questa mi sembra l’unica strada percorribile se vogliamo far tornare la scuola ad essere un luogo dove si trasmetta cultura, non solo addestramento, e si formino persone capaci di svolgere un percorso culturale. Se non altro, così facendo possiamo dire di avere, come docenti, la coscienza a posto, e di non essere stati complici di questa deriva.
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