Stamattina mi sono messa a scrivere una nota su quelle che considero le priorità da affrontare per il nuovo ministro. L’articolo incominciava così: “A di amuchina, B di banchi a rotelle, C di classi pollaio, D di Dad”… No. Non mi riesce di scherzare sulla situazione della scuola, e soprattutto sulla situazione dei ragazzi, che, se generalizzo quel che sta succedendo a figli e nipoti di amici, sono scoraggiati, depressi, aggressivi, poco motivati: eppure vengono quasi tutti da famiglie affettuose, supportive, culturalmente preparate. Temo che ci sarà molto da ricostruire, e non solo in termini di preparazione. Comunque, se cerco di indicare quelle che sono a mio avviso le priorità da affrontare nel rimettere in piedi dalle macerie la scuola italiana, posso fermarmi alla lettera A, A di autonomia.
L’autonomia scolastica è stata istituita dalla legge 59/97 (“legge Bassanini”) “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”, all’art. 21; il regolamento attuativo esce nel marzo del 1999 (Dpr 275) e finalmente nel 2000 le scuole cominciano ad essere autonome, ma la loro autonomia, che doveva essere didattica e organizzativa, è stata ridotta e in parte snaturata, salvando solo aspetti come l’attribuzione del ruolo dirigenziale ai capi di istituto e il principio – fondamentale – per cui la validità di una scuola deriva dal Pof, piano dell’offerta formativa, deliberazione che pone le basi per il riconoscimento, con la legge 62/2000, dell’appartenenza delle scuole private accreditate, o paritarie, al sistema nazionale di istruzione.
Che le scuole, “use a obbedir tacendo”, o al massimo borbottando, avrebbero in buona misura preferito continuare in un poco produttivo ma rassicurante ruolo esecutivo, c’era da aspettarselo, tanto che l’autonomia è stata mimetizzata in una legge che si occupava di pubblica amministrazione, nel penultimo articolo.
Un più recente tentativo di riproporla nella legge 107/2015 (“Buona Scuola”) ripristinando parte delle prerogative iniziali, è stato anch’esso duramente contrastato, anche con l’attribuzione di etichette fantasiose ma di facile presa come il “preside sceriffo”. Lo sconquasso educativo e istituzionale seguito alla pandemia, ma di cui si erano già avuti chiari sintomi, sembra aver posto una pietra tombale sulla scuola, figuriamoci sull’autonomia. Eppure, io continuo a ritenere che certo non si tratti di un toccasana miracoloso, ma partire in ordine alfabetico, dalla A di autonomia, contribuirebbe a risolvere alcuni problemi ormai incancreniti del nostro sistema.
A questo punto sono andata sul sito del ministero per controllare che le date delle leggi fossero esatte, e mi sono imbattuta nel testo del Rapporto finale del Comitato di esperti istituito con D.M. 21 aprile 2020 n. 203, “Scuola ed Emergenza Covid-19”, che mi aveva già segnalato un amico componente del comitato stesso, e mi sono chiesta come mai mi fosse sfuggito nelle mie frequenti visite al sito.
Non mi era affatto sfuggito: è stato consegnato il 13 luglio e pubblicato sabato 13 febbraio. Il presidente del comitato, vedi vedi!, era il professor Patrizio Bianchi. Quando si dice le coincidenze! Diciotto persone, immagino tutte competenti come lo sono quelle che conosco personalmente, hanno avuto dal ministro Azzolina il mandato di rispondere a sei domande, che riporto di seguito:
– avvio del prossimo anno scolastico, tenendo conto della situazione di emergenza epidemiologica attualmente esistente;
– edilizia scolastica, con riferimento anche a nuove soluzioni in tema di logistica;
– innovazione digitale, anche al fine di rafforzare contenuti e modalità di utilizzo delle nuove metodologie di didattica a distanza;
– formazione iniziale e reclutamento del personale docente della scuola secondaria di primo e secondo grado, con riferimento alla previsione di nuovi modelli di formazione e selezione;
– consolidamento e sviluppo della rete dei servizi di educazione e d’istruzione a favore dei bambini dalla nascita sino a sei anni;
– rilancio della qualità del servizio scolastico nell’attuale contingenza emergenziale.
Non ho ancora letto il documento, 84 pagine di testo più gli allegati, e ovviamente lo farò, ma sono veramente indignata. Delle due l’una: o le risposte date dagli esperti, coinvolgendo anche molte altre persone, erano poco significative, e allora ci si sarebbe dovuti rivolgere altrove per prendere decisioni sensate, e a quanto ne so nessuna di queste due cose (rivolgersi altrove e prendere decisioni sensate) è stata fatta; oppure erano valide, ma andavano in una direzione diversa da quella gradita al ministero, e allora si poteva, e si doveva utilizzare il rapporto per aprire una discussione. Ma tenere il rapporto in fondo a un cassetto, sia pure digitale, e farlo uscire dopo sette mesi il giorno dopo quello in cui il presidente del comitato è diventato ministro, è un comportamento che non riesco a definire se non squallido. E questo, ripeto, indipendentemente dal contenuto.
L’articolo sull’autonomia lo finirò un’altra volta, magari dopo essermi confrontata con il rapporto e con le priorità che il ministro ha espresso in un’intervista alla Fondazione Feltrinelli: ripristinare la centralità della scuola, l’idea che è il perno centrale dello sviluppo del singolo e del Paese, punto fondamentale per acquisire le competenze tecniche e di cittadinanza; investire per colmare il divario fra Nord e Sud, che crea nuove forme di povertà educativa; investire in una visione complessiva, non in singoli progetti; valorizzare la formazione professionale come percorso per creare un corpo intermedio di competenze fra le eccellenze, che esistono, e i livelli di massa troppo bassi. Un programma tanto ambizioso quanto realistico, su cui i decisori politici, il ministero e la scuola “militante” sono chiamati a misurarsi nei prossimi mesi.
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