In questo mio intervento, a valle delle esperienze di scuola ascoltate prima e dei commenti degli amici e colleghi che mi hanno preceduto, vorrei offrire tre messaggi per tentare di rispondere alla domanda principale di questo incontro: cosa impariamo dalle esperienze di didattica innovativa che sono state condotte in questi anni? Come dice il titolo dell’incontro, cosa permette di trovare “nuovi linguaggi che favoriscano un dialogo con i giovani”? Non essendo un pedagogista, né un “uomo di scuola”, provo a portare un mio contributo che prende le mosse dallo specifico angolo di chi, come me, si occupa di scuola sotto il profilo organizzativo e gestionale.
In primo luogo, occorre riconoscere che l’educazione è un’avventura che si sviluppa nel rapporto tra chi formula una proposta (l’educatore) e chi la accoglie (l’educando). In questo senso, l’avventura educativa non può essere eccessivamente schematizzata, potremmo dire “industrializzata”. Ogni docente dà il meglio di sé in specifiche attività, e nel corso della sua carriera impara metodi, strumenti, approcci per trasmettere al meglio la propria passione e la propria competenza. Allo stesso tempo, i bambini e i ragazzi sono tutti diversi tra loro, e scoprono i propri talenti e le proprie passioni in modi personalissimi. Affinché si sprigioni tutto il potenziale che consente l’incontro tra docenti e studenti, occorre allora favorire la nascita e la crescita di luoghi liberi, in cui la sperimentazione e l’innovazione siano costantemente favoriti e valorizzati. Le scuole possono e devono essere questi luoghi, e devono rifuggire l’idea astratta e malsana della standardizzazione e dell’omologazione.
La conseguenza operativa e, direi, politica del riconoscimento di tale dinamica è che occorre promuovere la diversificazione dell’offerta formativa ed educativa, non la sua omogeneità. Vista dal lato dei bambini/ragazzi e delle loro famiglie, occorre promuovere la libertà di scelta (anche all’interno del settore pubblico) per favorire approcci educativi diversi, che valorizzino le specificità di ciascuno e consentano un vero pluralismo culturale. Noi abbiamo vissuto, nel nostro sistema scolastico, il mito della “uniformità di trattamento”, dell’omogeneità dei metodi educativi, delle scuole come organizzazioni che promuovono valori, competenze e saperi tutti uguali. Abbiamo avuto e abbiamo paura della diversificazione, della sperimentazione, dell’innovazione. Siamo a un punto in cui occorre affrontare questo tema con energia, dimostrando – con i fatti – come avere scuole tra loro diverse sia un valore, non un problema.
Per prepararmi a questo intervento, ho riletto le Indicazioni nazionali del ministero dell’Istruzione del 2012, più di dieci anni fa. Si afferma, in esse: “Il curriculo di istituto è espressione della libertà d’insegnamento e dell’autonomia scolastica e, al tempo stesso, esplicita le scelte della comunità scolastica e l’identità dell’istituto. La costruzione del curricolo è il processo attraverso il quale si sviluppano e organizzano la ricerca e l’innovazione educativa”. Quante volte ho visto invece trasformare questo importante momento in una pratica burocratica, finalizzato ad adempiere a un dovere amministrativo più che a interrogarsi su un ideale educativo. Dobbiamo ritrovare quell’energia che consenta alle scuole di essere protagoniste delle proprie specifiche scelte, esplicitando la propria specifica identità.
Mi ha colpito leggere un articolo del 9 agosto su Education Next, un’importante rivista scolastica americana, che spiega come la “libertà di scelta” tra scuole (pubbliche) sia oggi vista con favore sia dai Repubblicani che dai Democratici. L’elemento della libera scelta delle famiglie, considerato come una conquista nel sistema educativo americano (ancora bloccato all’allocazione della scuola su base geografica e di residenza) è di fatto una caratteristica strutturale del nostro sistema educativo. Dobbiamo valorizzare questa caratteristica al massimo, perché le nostre scuole sono luoghi in cui si fanno già tante esperienze diverse, ricche, belle – come gli esempi sentiti oggi ci hanno testimoniato chiaramente. In termini pratici, questo significa riprendere una discussione seria sul tema dell’autonomia, promuovendo azioni che amplino i margini di libertà delle scuole sotto il profilo organizzativo, educativo, metodologico. Sarebbe utile che le famiglie avessero di fronte proposte diverse, formulate da scuole consapevoli della propria specificità, che raccontino le proprie esperienze significative – come abbiamo sentito nell’incontro di oggi – affinché poi le famiglie stesse possano scegliere i luoghi che ritengono migliori per i propri figli.
Un contributo decisivo, in questa direzione, è dato dalle scuole paritarie. Esse, nel nostro sistema pubblico di istruzione, sono già un esempio di scuole libere, che contribuiscono al bene comune (al sistema pubblico di istruzione, come dice la legge 62/2000) e che creano quel pluralismo educativo di cui c’è tanto bisogno, per quanto detto poc’anzi. Tali scuole sono ancora guardate con sospetto da alcune forze politiche e da alcuni ambiti culturali. Esse andrebbero invece valorizzate, sostenute, finanziate e aiutate in ogni modo nella cornice di un unico, plurale sistema scolastico pubblico. Se c’è un ambito in cui è limitata la libertà di scelta della scuola da parte delle famiglie, nel nostro Paese, è proprio quello delle scuole paritarie. Molte famiglie non possono scegliere le scuole paritarie per ragioni economiche. Questo ostacolo va rimosso non per aiutare indebitamente le scuole paritarie o “i figli dei ricchi” (come molti hanno denunciato, a sproposito), ma per favorire la realizzazione di un vero sistema scolastico plurale, che fa il bene dei bambini/ragazzi, delle loro famiglie, della società tutta.
(1 – continua)
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