Le strade qui intorno hanno ripreso la loro faccia di traffico e fretta. Come d’incanto, le macchine che prima dormivano nei garage, o tutt’al più giravano con il solo conducente intento a selezionare canali radio o playlist dal cellulare, ora sono piene di madri e di padri. Con su figli e zaini a salutare dal finestrino l’estate che è finita. E anche il cielo in questo primo giorno di scuola ci ha tenuto a confermarlo, se mai non lo si fosse capito. Intorno a Milano fa quasi freddo, la pioggia che è scesa tutta la notte ha già allagato le buche di tutte le vie. E continua a cadere. Così i ragazzi alle fermate dei pullman, che pensavano ancora ci fosse l’estate, con i loro calzoni corti e le gonnelline sgargianti, mandano giaculatorie blasfeme a quelli che passano in macchina: sono loro gli ultimi a rendersi conto che il barometro è sceso in picchiata. E l’acqua sulle gambe e i vestiti ci mette del suo per fare crescere questa certezza.
Con tutto il male che si può dire della scuola italiana, sembra però che la vita e tutto quello che ci sta dentro giri ancora intorno a questa gabbia di matti. E verso la sua gabbia, con la sua utilitaria e la sua sigaretta, c’è anche Oscar. È tornato anche lui. Forse perché, avendo vinto l’ennesimo concorso nell’ospitale e popolosa Lombardia, avrà finalmente avuto il suo bel posto di ruolo.
Lo avevamo lasciato con la sua borsa di studio in una prestigiosa università a parlare in francese e in tedesco. Ma il contratto era finito: inversione dell’utilitaria, passaggio di qualche confine tra gli Stati europei dove ha svolto solitarie ricerche e amorevoli studi su testi latini, per tornare finalmente qui. Io pensavo finalmente e definitivamente accasato in qualche bel liceo frequentato dall’illuminata borghesia milanese. E in effetti è così: sulla sua Panda la sta raggiungendo, la sua prestigiosa scuola. Attraversando le vie piene di buche, schizzando di fango quelli che, in attesa dell’autobus, potrebbero essere i suoi nuovi alunni in questo primo giorno di scuola.
Ho sentito Oscar ieri al telefono e sorridendo mi ha tranquillizzato: no, non ti preoccupare, mi ha detto. Non mi hanno assegnato la cattedra (che pure, come sappiamo, ha vinto non so quante volte). Di nomina annuale si tratta: lo Stato italiano ci tiene a farmi restare dinamico. Pronto a ogni chiamata, mica adagiato nella tranquillità del posto fisso che è quello che uccide desideri e coscienze.
Ma si può? Qualcuno non avvezzo ai modi di questa gabbia di matti, potrebbe chiedersi perché c’è una cattedra vuota per un anno e non possa essere definitivamente data al povero Oscar. Ce ne sono migliaia, fanno sapere i sindacati. Ed è inutile domandarsi perché?
Intanto, però, mi piacerebbe che succedesse qualcosa che sa di miracolo: in quella stessa scuola, per esempio, non potrebbero chiamare Margherita? Mentre farà il suo bel tirocinio, una supplenza gliela dovranno pur dare su una di quelle migliaia di cattedre libere. Magari potrebbe lavorare con Oscar, potrebbero insieme tentare di costruire un avamposto di cuori trepidi per il lavoro da fare nella gabbia di matti. Lo dico perché ho sentito anche Margherita in questi giorni di attesa: si domandava come e cosa avrebbe fatto il primo giorno di scuola. Un’insegnante di lettere come lei, o un filosofo come Oscar non avranno certo difficoltà a trovare le parole giuste per cominciare. A loro, però, ho ricordato una poesia giovanile di Rilke. Che con le parole ha riscritto il mondo, eppure diceva così: “Io temo tanto la parola degli uomini./ Dicono sempre tutto così chiaro:/ questo si chiama cane e quello casa,/e qui è l’inizio e là è la fine!// E mi spaura il modo, lo schernire per gioco,/ che sappiano tutto ciò che fu e che sarà;/ non c’è montagna che li meravigli;/ le loro terre e giardini confinano con Dio!// Vorrei ammonirli, fermarli: state lontani!/ A me piace sentire le cose cantare!/ Voi le toccate diventano rigide e mute!/ Voi mi uccidete le cose!”
Ecco Margherita, ecco Oscar: intanto state attenti alle buche sulle strade. Poi continuate a pensare di non sapere tutto, continuate a meravigliarvi delle montagne che piccole, piccole adesso stanno nel retrovisore della macchina. Ma chissà quale grande mistero nascondono dietro. E sopra di loro. Non uccidete le cose. Qualche volta chiedete in classe il silenzio: non perché il rumore vi può dare fastidio. Ma perché vi piace sentire le cose cantare.
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