Manuel era all’ingresso della scuola impaurito. Era arrivato dal Perù solo da tre mesi e non conosceva nessuno. Inoltre il suo italiano era ancora debole, lo capiva, però non riusciva ancora ad esprimersi in modo fluido: per tutta l’estate aveva frequentato il centro di aiuto allo studio, era migliorato, però vi era ancora tanto da fare.
Così Manuel si trovava in mezzo a tante persone ma di fatto era solo, non aveva scambiato una parola con qualche vicino e nessuno si era rivolto a lui.
Il preside aveva fatto il discorso inaugurale; Manuel nel complesso aveva capito sia i ripetuti auguri sia la sua raccomandazione a fare sempre meglio. Poi erano state divise le classi e Manuel si era trovato in mezzo ad una ventina di scalmanati che erano pronti a scattare al suono della campanella per accaparrarsi i posti migliori, quelli più lontani dalla cattedra, naturalmente!
Così era successo. Manuel, però, non aveva partecipato alla gara: aveva visto i suoi compagni mettersi a correre, ma lui con tutta calma li aveva seguiti a distanza.
Però non era solo; anche Sara non si era messa a correre e procedeva al suo fianco.
“Chi sei?” le aveva chiesto la ragazza e lui, dopo essersi presentato, aveva voluto che lei facesse altrettanto.
“Poi ti presento gli altri” le aveva detto Sara, anticipandogli che loro due erano destinati ai primi banchi.
“Non fa niente” aveva commentato Manuel “al primo banco si è più nel vivo”.
“Dillo ai miei amici” aveva risposto Sara “ti darebbero del matto!”
“A me interessa che ci sia qualcosa di bello” aveva reagito Manuel.
Erano arrivati anche loro in classe, tutti erano già seduti al loro posto, Manuel e Sara non avevamo potuto fare altro che prendere i primi posti.
Così Manuel si era trovato davanti all’insegnante di italiano che aveva cominciato a porgli le domande di tutti i tipi per conoscerlo; del resto i suoi compagni li conosceva già, era lui l’unico nuovo.
Quella prima ora stava diventando una lezione strana. Pian piano tutti i compagni si erano messi in silenzio con le orecchie aperte ad ascoltare, poi avevano preso gusto a conoscerlo e si erano lanciati a fare le domande più strane.
All’ultima domanda, su che cosa si aspettasse dalla scuola, Manuel aveva guardato in faccia Valentino che gliel’aveva posta. Un lungo momento di silenzio e poi un “Non so… parlare bene l’italiano”, ma poi, quasi ci fosse stata una luce improvvisa nella sua testa, “Che sia sempre così” aveva aggiunto.
“Così come?” aveva chiesto Sara.
“Così, non so come dire. Così non sentite di stare bene? Io sì.”
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