Il latino non è morto, anzi è più che mai pieno di vitalità ma ritorna in forme innovative e luoghi sempre sorprendenti.
Secondo Jürgen Leonhardt, autore del saggio Latin. Story of a world language, “una delle cose che rende il latino particolarmente interessante è la globalizzazione e i complessi legami tra differenti paesi e culture. I processi che messi in moto hanno prodotto alcuni risultati come la rapida crescita dell’inglese come lingua mondiale predominante, hanno fondamentalmente scosso la nostra nozione che gli esseri umani sviluppano il linguaggio meglio se coltivano la ‘lingua madre’. Questi processi ci danno anche l’opportunità di riflettere in una maniera nuova su che cosa esattamente trasforma una lingua ‘viva’ in una ‘morta’”.
Il dibattito accademico e scolastico sul valore della cultura classica si è spostato, negli ultimi anni, sulla didattica delle lingue classiche. Perché? Secondo me, ciò avviene a partire da una latente realtà: nella nostra società la conoscenza in quanto rete sistematica e sistemica perde – per dirla in termini semplici – consistenza e peso sociale, in virtù della moderne tecnologie. Non si tratta solo della meccanizzazione e tecnologizzazione delle attività produttive ma anche della rivoluzione telematica che qualifica la vita quotidiana di noi uomini di oggi: ne sono ben consapevoli i ragazzi nati negli anni duemila, i nativi digitali, che ormai sono stati “alfabetizzati” valorialmente e cognitivamente in un mondo globalizzato, basato sulla complessità ma che richiede continuamente la semplificazione e fruizione a discapito dell’interpretazione poggiante sul senso critico. Nella scuola ne sanno qualcosa i docenti; all’università si assiste al fenomeno della “liceizzazione”.
In un quadro solamente pennellato secondo toni impressionistici, che richiederebbe ovviamente maggiori approfondimenti, quale ruolo può avere il latino? Qualcuno se lo chiede, a vari livelli, se si giudicano i saggi di Joseph Farrell, Françoise Waquet, Tore Janson, Nicholas Ostler, Wilfried Stroh e Nicola Gardini e – dulcis in fundo – Luigi Miraglia.
Quel che ci interessa in questa riflessione è la vexata quaestio che turba i sonni dei docenti di latino e anche di certa parte del mondo accademico, ovvero l’uso parlato, attivo, strumentale, comunicativo della lingua latina. Non vi sono ancora – per usare il titolo di un famoso saggio di Umberto Eco – gli apocalittici e gli integrati, ma i sostenitori e gli oppositori. Il dibattito si è dunque polarizzato su due posizioni, con in mezzo le tante sfumature, tuttavia accomunato dalla convergenza tra lingue antiche e moderne: il dilemmatico iato tra i due mondi si è assottigliato fino a poter dire che il mondo moderno è diventato una sorta di dimensione parallela di quello antico o viceversa. Una felice intuizione delle Indicazioni nazionali del liceo afferma una prassi consolidata nell’insegnamento della lingua di Cicerone: “Pratica la traduzione non come meccanico esercizio di applicazione di regole, ma come strumento di conoscenza di un testo e di un autore che gli consente di immedesimarsi in un mondo diverso dal proprio e di sentire la sfida del tentativo di riproporlo in lingua italiana”. Immedesimarsi è la parola chiave del modo di vivere di oggi; purtroppo il codice scritto non ha la medesima potenza e capacità di coinvolgimento del videogioco, multisensoriale e così dannatamente “reale”.
Ritorniamo alla realtà del latino. Renato Oniga, professore di letteratura latina all’Università di Udine, scrive con grande lucidità e chiarezza: “Paradossalmente, la sola differenza tra le lingue classiche e lingue moderne, ovvero il fatto che non esiste più un parlante nativo delle prime, è spesso messo da parte da coloro che propongono di ritornare al ‘latino parlato’. Ma le più elementari considerazioni storiche suggeriscono che il revival di una lingua morta produce una nuova varietà di quella lingua come è avvenuto nel latino medievale e umanistico e, più recentemente, nell’ebraico. La creazione di un nuovo latino, attraversando uno stadio di pidgin per diventare qualcosa di inevitabilmente diverso dall’originale, è già stato stigmatizzato dai latinisti tradizionali, che non hanno mai smesso di deprecare il ‘barbarismo’ del latino moderno che certamente sarebbe suonato ridicolo agli antichi Romani. Imparare un latino ‘barbarizzato’ sarebbe forse più facile e richiederebbe meno tempo, ma non aiuterebbe a imparare il latino classico. Similmente, un latino comune sarebbe poco utile come lingua franca di un mondo globalizzato. Dopo tutto, non c’è la benché minima ragione per negare che il latino può solo essere studiato attraverso un corpo di una lingua scritta, e le competenze da acquisire sono leggere, comprendere e tradurre”.
Dall’altra parte, non solo di visione su questo punto, ma anche geograficamente, Terence Tunberg, professore di lingua e letteratura latina all’University of Kentucky in Lexington (Usa), è un tenace propugnatore dell’uso parlato della lingua latina, anche se ammette che molti suoi colleghi vedono questa cosa come eccentrica e collaterale all’attività più seriamente accademica.
Anche Nancy Llewellyn, professoressa di lingua latina presso Belmont Abbey College, che è della stessa opinione di Tunberg, ha scritto: “Non conosco nessuna caffetteria dove potrei entrare e dire con voce chiara: ‘Des mihi quaeso caffeam cum lacte’, se non con la conseguenza di ottenere quanto ordinato dopo lunga attesa e con qualche ghigno”.
Rimane un dato di fatto, cioè che il latino è in un certo senso complementare alla lingua inglese nella forma più popolare, se prendiamo un recentissimo caso, per così dire. Netflix, che trasmette varie serie in tutto il mondo, ne ha prodotta una nel 2019 per un pubblico di adolescenti, di genere paranormale, horror, sentimentale: The Order, che racconta le vicende della matricola del college Belgrave University, Jack Morton, che entra a far parte di una società segreta, The Order. In un mondo di mostri e magie, la lingua latina ha tutta la sua dignità in quanto lingua degli incantesimi: molti personaggi usano senza problemi la lingua latina per fare semplici azioni come aprire porte (aperiatur!), o per concludere riti e cerimonie: sempre in un latino corretto. Non sono previsti sottotitoli che traducano in inglese le formule magiche in latino… Dunque come la mettiamo sull’uso parlato della lingua latina? Il latino sta colonizzando gli Usa, dopo che questa ci ha colonizzato con il suo lifestyle?