Stiamo assistendo a giorni di “rumore” sulla scuola, con proteste e scioperi di tutte le componenti: studenti, famiglie, docenti, dirigenti scolastici, sindacati e scontri politici per le proteste dell’opposizione. Un rumore annunciato, dato che da mesi si susseguono informazioni contraddittorie, poche certezze, molti allarmismi per la situazione sanitaria, molte promesse e protocolli arrivati solo sul filo di lana. E così all’avvio dell’anno scolastico i nodi sono venuti al pettine: la realtà ha mostrato in tutta evidenza una situazione deficitaria con lezioni ridotte, classi e docenti mancanti. Problemi che mettono in grave difficoltà i genitori delle fasce di alunni fino alla primaria, che hanno la necessità di risolvere i problemi legati all’assistenza dei figli a casa con le esigenze di lavoro.
Non ho intenzione di approfondire le motivazioni che conosciamo benissimo poiché oggetto di comunicazione quotidiana da parte dei media. Vorrei piuttosto mettere in contrasto il “rumore” di questi giorni con il “silenzio” della scuola paritaria. È inevitabile che i problemi della scuola legati a spazi e sicurezza abbiano toccato anche le scuole paritarie. La consapevolezza che non sarebbero arrivati aiuti dal ministero ha spinto le scuole, come sempre, a risolverseli in autonomia.
Obiettivo: dare una risposta positiva alle famiglie, garantire un avvio nella massima sicurezza possibile e in presenza, tornare gradualmente alla normalità. Ecco perché è arrivato il silenzio. Un “silenzio costruttivo” mentre si utilizzava tutto il tempo disponibile per risolvere i problemi organizzativi e per pianificare il recupero delle risorse economiche necessarie.
Un “silenzio” che continua e che ha avuto anche qualche apprezzamento, come quello di una nota Confapi in cui si afferma che le scuole paritarie hanno iniziato “in punta di piedi” e sono meglio organizzate. Si è lavorato per dare la doverosa risposta alle attese ed alla fiducia delle famiglie e, ad esempio, i dati ufficializzati dalla Usr Lombardia indicano che l’impegno è stato ripagato dalla fiducia delle famiglie poiché si registra una sostanziale tenuta delle iscrizioni.
Un “silenzio” che ha sotteso un serio lavoro per offrire un buon servizio pubblico alle famiglie, un lavoro di cui istituzioni e mondo politico dovranno ricordarsi in futuro per far cadere il muro ideologico tuttora presente.
Su questo lavoro “silenzioso”, nel mese di agosto, aleggiava una pesante nuvola nera legata al consistente reclutamento annunciato dal ministro, una modalità purtroppo tradizionale, ma che in questa fase di emergenza poteva mettere in grave crisi le scuole. I numeri annunciati aumentavano il timore poiché si partiva da 80mila immessi in ruolo con la nuova procedura della “chiamata veloce” che consentiva a chi fosse in graduatoria di poter presentare domanda in un’altra Regione dove vi erano posti disponibili, oltre a 250mila i docenti-supplenti da reclutare, per riuscire a coprire tutte le cattedre ed avere un inizio d’anno regolare. Le notizie pur poco chiare di questi giorni dicono del fallimento dell’operazione, poiché solo 20mila docenti vi hanno aderito, ma che i docenti da assumere per coprire tutte le cattedre sono ancora decine di migliaia.
Si rimane con il fiato sospeso e ci si augura che ad anno iniziato, nel caso di chiamata, venga almeno concesso ai docenti in servizio nelle scuole paritarie di potervi rimanere fino al termine dell’anno scolastico.
Rimane il grave problema generale legato alla drammatica carenza di docenti abilitati sul mercato del lavoro. Come sappiamo sono annunciati da molto tempo concorsi utili al reclutamento, alla sistemazione degli attuali precari nelle scuole di Stato e all’acquisizione di abilitazione per i docenti in servizio da più di tre anni nelle scuole paritarie, ma per riequilibrare il mercato del lavoro occorre un piano strategico completo e di rapida attuazione.
In un mio articolo pubblicato più di un anno fa avevo evidenziato una possibile soluzione che mi permetto di rilanciare. Da allora, maggio 2019, i due ministri che si sono succeduti, consapevoli della grave criticità, hanno avanzato proposte forti: il ministro Bussetti aveva proposto di mettere in cattedra docenti con la sola laurea e il ministro Azzolina di sceglierli tra i “laureandi”. Credo che nella drammatica emergenza che stiamo vivendo la soluzione di considerare formalmente abilitati i docenti in possesso di laurea magistrale e dei 24 Cfu possa e debba essere presa in considerazione. Sono diversi i tribunali del lavoro – Roma, Cassino e Torino – che hanno accolto il ricorso, in tal senso, di docenti sulla base della direttiva europea 2005/36/CE.
Questa impostazione avrebbe tre immediati effetti positivi, non solo per le scuole, ma anche per i docenti: possibilità di regolarizzare la posizione dei docenti con assunzione a tempo indeterminato; aumento del numero dei “docenti abilitati” sul mercato del lavoro con facilitazione per la ricerca di personale per le scuole sia statali sia paritarie; dare la possibilità ai giovani laureati che vogliono intraprendere la professione docente di abilitarsi rapidamente. I sindacati dovrebbero essere primi a sponsorizzare questa soluzione visto che ridurrebbe il precariato.
Va ricordato infine che il servizio è ripreso, con grande attenzione, anche per gli studenti a disagio con necessità di sostegno, in costante aumento tra i frequentanti le scuole paritarie. Studenti fortemente discriminati da parte dello Stato in relazione agli aiuti economici stanziati, come denunciavo in un mio articolo lo scorso novembre. È auspicabile che tra i progetti che si presenteranno per l’utilizzo del Recovery Fund, deciso dall’Unione Europea, vi sia anche uno stanziamento che faccia cessare questa vergognosa discriminazione verso i cittadini con disagio e le famiglie meno abbienti.
Ci si augura dunque che ministero, istituzioni e mondo politico prendano atto del prezioso contributo che la scuola paritaria sta dando con un pregevole servizio pubblico offerto a moltissime famiglie e studenti e ne tengano conto per sostenerlo in futuro.