Come sempre Luca Ricolfi è chiaro e semplice. Nel libro Il danno scolastico (La Nave di Teseo 2021) documenta la catastrofe della scuola italiana osservata nel livello universitario, che è ormai incapace di generare maggioranze di giovani laureati dotati di reali e ricche competenze. Il crollo dei livelli finali della scuola, quelli universitari, è avvenuto negli ultimi vent’anni, ma la discesa è cominciata molto prima.
La coautrice Paola Mastrocola, scrittrice, già insegnante di lettere nei licei, descrive minuziosamente nello stesso libro, partendo dalla sua esperienza di alunna della vecchia scuola media ginnasiale abolita nel 1962, le tappe del crollo della qualità della scuola media e del liceo italiani.
Secondo lei gli insegnanti, sospinti dall’onda egualitaria predominante ormai nella società, che non voleva più penalizzare i figli degli operai e dei contadini, hanno smesso di perseguire ed esigere i livelli storici della preparazione scolastica. Passo dopo passo, sponsorizzato dai vertici ministeriali sia di sinistra che di destra, il livello dell’insegnamento è crollato.
Oggi non solo nella scuola media, ma anche nei licei e perfino nell’università pochissimi studenti sanno leggere e comprendere un testo, trascriverlo, raccontarlo con il proprio stile.
Ripercorrendo in modo millimetrico le varie tappe del degrado, Mastrocola racconta le tragiche sorti della parafrasi, del tema, del voto, dello studio personale, delle lezioni avvincenti, della ripetenza per gli impreparati.
La novità è che Paola Mastrocola vede in questo degrado un gravissimo danno proprio per i ceti popolari. È il sottotitolo del libro: La scuola progressista come macchina della disuguaglianza. Secondo l’autrice la spinta antielitaria, antiautoritaria, antigerarchica che ha pervaso dagli anni 60 la scuola e la società italiana con l’obiettivo di salvare dall’insuccesso scolastico i ceti popolari, a cui lei appartiene come figlia di una sarta torinese e di un ex contadino abruzzese, ha demolito del tutto l’accesso alla cultura classica, in primis alla letteratura. Ma è proprio la cultura letteraria – secondo Mastrocola – a mettere sullo stesso piano tutti i ceti sociali. Quindi l’abbassamento della qualità dell’insegnamento ha penalizzato proprio coloro che si voleva difendere dalle difficoltà del percorso culturale tradizionale. Che smacco per gli intellettuali e non che da cinquant’anni dominano la scuola!
L’abbassamento degli standard richiesti dagli insegnanti secondo Mastrocola deriva dall’onda sociale egualitaria che ha compresso il mondo scolastico portandolo al risultato opposto di aumentare le disuguaglianze culturali. A mio parere, invece, la causa del crollo è invece insita nell’abbassamento della qualità dei docenti e dei dirigenti scolastici a tutti i livelli.
Da 50 anni il “reclutamento” del personale scolastico, sotto l’onda delle rivendicazioni sindacali di massa e della spinta meridionalista, è divenuto sempre meno esigente, con il risultato di convogliare nella professione docente masse enormi di persone demotivate, impreparate, sempre in attesa di trasferimento e pensione. La rinuncia al buon governo della scuola, travestita da buonismo riparatore degli antichi torti, si è insediata nei centri nevralgici dell’amministrazione scolastica, dal ministero ai provveditorati, dove l’unico vero problema, sempre irrisolto e non a caso, è il sistema del concorso nazionale, dei trasferimenti, dei pensionamenti, delle immissioni in ruolo e dei passaggi di ruolo. Tutto fatto per consentire a milioni di persone, dirigenti per primi, di perseguire facilmente il proprio piano di fuga dalle vere esigenze scolastiche.
Inoltre Mastrocola polemizza con don Milani secondo me senza averlo davvero compreso. Dice di averne letto il famoso libro Lettera a una professoressa solo nel 2004, e vede in don Milani un avversario del valore della letteratura classica.
In realtà don Milani si opponeva alla bocciatura nella scuola di base, ma non la negava nella scuola superiore. Diceva che un diploma professionale è come la patente che va data solo a chi sa guidare. Non amando la spinta indiscriminata a livelli scolastici sempre più alti, proponeva di proibire ai maestri di andare all’università, dove si formava quello che definiva il deleterio “Pil”, inteso come partito italiano laureati.
Ma don Milani non era contro la cultura; ne vedeva il taglio unilaterale. Ad esempio non capiva come mai Bibbia e vangeli non fossero insegnati a scuola nei programmi ordinari, pur avendo costituito la base dell’Europa dall’antichità alla modernità. Proponeva anche un maestro a tempo pieno ed una gestione della scuola media tramite i tradizionali maestri. Per gli alunni meno dotati, e solo per loro, voleva un doposcuola dedicato. Nessuna delle sue richieste ha trovato seguito, anche se viene santificato nei convegni.
Ancora una volta osservo che in Italia siamo bravissimi ad analizzare le problematiche, a descrivere la decadenza, ma abbiamo pochissime idee e nessuna determinazione nel perseguire la terapia del male ben individuato.
Io personalmente per decenni ho ravvisato queste caratteristiche nella scuola e cercando di sfuggire alle lamentazioni fine a se stesse, ho più volte proposto idee per una reale e semplice riorganizzazione.
Adesso la scuola dell’obbligo arriva fino ai 16 anni. Cioè la formazione di base necessaria per il cittadino moderno prevede questo livello a cui tutta la popolazione giovanile dovrebbe essere portata. Ebbene, riducendo a 4 ore al giorno il lavoro a classe intera e introducendo dosi massicce di doposcuola e attività mirate per i meno motivati e meno dotati, lo Stato farebbe bene il proprio dovere. Certo dovrebbe finire il “reclutamento di cittadinanza” degli insegnanti, con assunzioni territoriali o di istituto ed anche l’introduzione dell’insegnante a tempo pieno.
Su queste cose aspetto da anni i bravi e sinceri analisti della catastrofe scolastica.
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